3 ottobre 2025
Aggiornato 07:00
Obama Presidente USA

Attenzione, speranza e cambiamento

«Oggi l’America ha ripreso in mano quel sogno, e l’ha trasformato in realtà»

«A tutti coloro che stasera sono in ascolto su entrambe le sponde dell’oceano, dalle sale dei parlamenti e dai palazzi; a tutti quelli che se ne stanno di fronte alla radio negli angoli più sperduti del mondo io dico: le nostre storie sono differenti ma condividiamo un destino unico. L’alba di una nuova leadership americana, che finalmente è a portata di mano.» Silenzio, parla Obama. Alla fine è andata proprio così. 25 anni fa c’era un uomo con un bel sogno. Un’America dove uomini e donne potessero essere giudicati non dal colore della pelle, ma dallo spessore dei loro caratteri.

Dal peso delle loro convinzioni, magari dall’orgoglio, dalla tenacia e dalla forza che li spingevano avanti. L’uomo di allora si chiamava Martin Luther King, e altro non era che un misero pastore. Eppure fece sognare una nazione. Perchè il suo era un messaggio di speranza, la forza di un sogno da opporre al buio pesto. «Oggi l’America ha ripreso in mano quel sogno, e l’ha trasformato in realtà.» Ci crede davvero, il primo ministro australiano Kevin Rudd, mentre si affretta a congratularsi con Barack Obama.

Forse ha ragione. A ben vedere, oggi sembra che un pò di quell’aria antica sia tornata a spirare. Sono molte le voci che ce lo ricordano. Tante vengono proprio dagli Stati Uniti, che hanno appena iniziato a dismettere i panni di quel passato prossimo stretto, chiacchierato e quantomeno ingombrante chiamato bushismo. O dagli americani sparsi un pò ovunque, a cominciare da quelli che hanno assistito alle ore febbrili del conteggio col naso all’insù, sotto gli schermi televisivi allestiti a Barcellona per il raduno dei Democrats Abroad. «Avvenimento storico» dicono loro. Era ora, aggiungono, visto che un tempo il Paese aveva una buona reputazione all’estero. E troppo poco è stato fatto negli ultimi otto anni, concludono.

«Obama ha vinto, dormirò meglio» diceva la gente radunata a Times Square, seppellita nelle ore della vittoria da cartelli con scritto «Barack» e «cambiamento». Ecco, forse il messaggio migliore, quello che è passato con più forza è stato proprio quest’ultimo, stando anche a quanto emerso altrove. Attenzione, speranza, e cambiamento, soprattutto. La soddisfazione c’è, si sente, e va tutta a quel nuovo presidente che ha lottato per mesi nell’arena. A quell’uomo che in tanti hanno osteggiato e accusato e forse addirittura odiato. Ma lui ha tenuto duro. E alla fine ha avuto ragione. Si è fatto largo, portando con sè la «nuova era» che così tanti intravedono dietro l’angolo, a cominciare dalla Spagna di Zapatero.

Il mondo cade a pezzi, sembrano saperlo un pò tutti. Il pianeta ha bisogno di tante cose. Pace, stabilità, e qualche nuova, ottima idea. Bruciano la Siria e la Somalia, sepolte da guerre senza fine, sanguina la Palestina nell’abbraccio mortale con Israele, l’Afghanistan dei troppi civili uccisi e il Pakistan delle basi terroriste. Il Sudan resta un’incognita mondiale e l’Iran peggio ancora, mentre Cina e India seguitano a sgomitare senza sosta. Il futuro sarà colmo di momenti difficili, anche questo lo sanno tutti. Ma intanto ha trionfato la speranza, una speranza immensa proprio come quella che scorge Nicholas Sarkozy.

«E’ proprio un gran momento per l’America», sentenzia il presidente del governo somalo di transizione Abdullahi Yusuf Ahmed. Gli fa eco Gordon Brown, che mette l’accento sull’energia sconfinata di Obama, il presidente dei valori progressisti e della consapevoelzza di un futuro nuovo. Obama è la gioventù, non ha dubbi Abhishek Manu Singhvi, portavoce del Congresso indiano. Dinamico ed esuberante, quel nuovo presidente gli ricorda tanto lo spirito che anima l’India stessa. Ma non finisce qui. Perchè in queste ore di fermento, gli Stati Uniti hanno gli occhi di tutti puntati addosso.

Tutti sembrano aver preso a cuore il verdetto delle urne. Tutti sembrano sentirsi ancora una volta un pò americani, ma stavolta in un senso ben più euforico di quello che animava le ore dolorose dell’11 Settembre. Se dalle Filippine il presidente Gloria Arroyo parla di speranza e ispirazione, il Giappone del primo ministro Taro Aso si commuove presentando le migliori congratulazioni. Angela Merkel assicura al neoeletto la più stretta collaborazione. Obama è l’uomo nuovo. Niente, proprio niente a che vedere con McCain.

E le differenze aumentano in modo sostanziale se solo si chiama in causa George W. Bush. «La vittoria di Obama è il risultato del fallimento dell’amministrazione uscente, e del presidente Bush in persona nel campo della politica estera» si dice a Teheran. Al nuovo presidente non resta dunque che imparare dai pregressi, madornali errori. Perchè gli Stati Uniti possono sperare di rifarsi un nome solo adottando una politica più in linea con la realtà del mondo. Alla doccia gelata iraniana fanno da complemento le esternazioni non certo tiepide di Mosca.

Latita l’entusiasmo in casa Russia. «Le relazioni con Mosca non saranno una priorità nella politica estera della nuova amministrazione, almeno non nell’immediato» ha commentato all’agenzia Itar-Tass il capo della commissione esteri del senato russo, Mikhail Marghelov. Troppi contrasti irrisolti accumulati nel corso degli anni. Più entusiasti sembrano, al confronto, i portavoce di Hezbollah. Che si dicono disposti all’apertura, ma solo nel caso in cui sia l’America stessa a dimostrare maggiore assenatezza rispetto al passato, magari prendendo le distanze dall’odiato Israele.

Frattanto a Gerusalemme si plaude invece al «luminoso futuro di cooperazione israelo-americano». Qualunque sia il tono delle esternazioni una cosa è certa. Qualcosa sta cambiando, e forse è già cambiato. Gli Usa sono chiamati ad una prova ancora più ardua del solito. Dovranno dimostrare di avere la forza necessaria per cambiare davvero, perchè ancora una volta, e ancora più del solito, il mondo guarda a loro. «Così, chiunque oggi può sognare di cambiare il mondo» ha detto Nelson Mandela dopo aver appreso l’esito delle urne.

Nessuno, in nessuna parte del globo, può più precludersi la speranza di desiderare un futuro migliore. Ma prima del traguardo ci sono i giorni, e forse gli anni. E servirà molta forza, e molta determinazione.

S.P.