25 aprile 2024
Aggiornato 19:30
Scomparsa Vittorio Foa

Addio all’ultimo dei padri viventi della Cgil

Il saluto di Epifani: «Sarebbe contento dei tanti giovani che di nuovo attraversano le città»

Se ne va, con Vittorio, l’ultimo dei grandi padri viventi della Cgil e un grande italiano che ha attraversato tutta la storia del ‘900, difendendo il valore della libertà e quello della giustizia sociale. Vivendo con sobrietà, coerenza, passione morale e civile, pagando di persona.
Grazie per quello che ci hai dato, per quello che sei stato, per come sei stato.
Per il senso alto di libertà che ci lasci; per la fiducia che non hai mai smarrito verso le ragioni del lavoro, dei lavoratori, degli ultimi; per il riconoscimento di quello che è il sindacato confederale, quello che si occupa – dicevi – di te e degli altri, del presente e del futuro; per la speranza che sapevi ritrovare – e ci chiedevi di ritrovare – dietro ogni trasformazione, ogni crisi, ogni problema.

È quello che hanno detto e pensato ieri e oggi i tanti che ti hanno reso omaggio, con la commozione, con il pudore che si hanno quando ti lascia qualcuno a cui ormai eri abituato come a una presenza costante, capace di sopravvivere al tempo e ai suoi segni.
Giorgio Napolitano, il nostro Presidente, ha voluto ricordare la vita spesa a fianco dei lavoratori. Carlo Azeglio Ciampi, il senso di coscienza civile per il paese. I compagni di tante battaglie, a partire da quelli più legati a Vittorio, i suoi amici di sempre anche a nome dei tanti scomparsi, i mille ricordi di una vita in comune.
Sì, è stata la Cgil, al fondo di tutto, la casa e il luogo di Vittorio Foa; « un operatore sindacale », amava dire di sé. Colpisce oggi il tempo e la forza della sua scelta, quella che lo ha portato qui sessant’anni anni fa accanto a Giuseppe Di Vittorio, il suo vero e riconosciuto maestro. Prima di quella scelta c’era stata la gioventù vissuta a Torino, la comunione ideale con i tanti antifascisti di quella città, gli amici scomparsi (Leone, Ginzburg e Pietro Gobetti), otto anni di carcere, tutta una giovinezza, e poi la liberazione, l’impegno politico, l’Assemblea Costituente.

Foa passò vent’anni in Cgil. È sua la guida dell’Ufficio studi, a cui chiama il giovane Trentin che tanto ha dato all’identità e alla cultura del lavoro italiano, e non solo alla Cgil. Poi la Fiom, con Novella, dopo la sconfitta del ‘55, il ritorno in Cgil e l’uscita dopo il congresso di Livorno del 1969.
Ho chiesto ieri ad Antonio Pizzicato, allora giovane delegato della Borletti, come fosse Vittorio Foa . « Voleva capire e ci aiutava a capire ». Allora era il tempo della catena di montaggio, e di quella classe operaia, ma fino all’ultimo Vittorio è stato così con tutti, e con sé.
Al Congresso di Livorno fece il discorso più deciso. « Basta camminare su e giù per la spiaggia, E’tempo di buttarsi a mare ». Il mare, per uno che amava la montagna, era la metafora del principio di realtà in cui bisognava immergersi per capire e conoscere da dentro.
Qui, come è evidente non c’è la paura di essere contaminati, di smarrire l’identità, di lasciare l’ideologia, di mettere a verifica le verità ritenute per principio tali. Ma c’è invece la confidenza nella forza del cambiamento e la fiducia che i percorsi reali possano sempre aiutarti a venirne fuori.
A volte sembrava una speranza disarmante la sua. Ma era proprio così? O non piuttosto la scelta consapevole e riflettuta che era proprio nell’agire, nel fare, nel costruire, che si poteva legare la speranza del cambiamento al futuro della condizione del lavoro? « Organizzatore sindacale », non a caso. L’autonomia e l’unità del sindacato erano la sua tensione e preoccupazione costante. La prima si fondava per Vittorio sulla condizione del lavoro; la seconda sull’esigenza dei lavoratori (forse un diritto) di essere uniti per contare di più. Fino agli ultimi giorni aveva chiesto di vederci, di parlarci, preoccupato delle divisioni che vedeva crescere.

Anche in questo ci voleva dire che lui non si sentiva fuori, ma dentro, non a lato ma in mezzo, uno di noi insomma.
Grazie poi Vittorio per un’altra cosa.
Mentre tutti ci spiegavano la fine del lavoro, e la scomparsa del sindacato – arnese del ‘900 – e ci rappresentavano un mondo dove i soldi producevano soldi, e spariva la fatica la durezza del lavoro, la condizione operaia, la precarietà di tanti, tu esprimevi, dicevi pensieri e parole opposte . E alla fine della tua lunga vita ritornavi dove avevi cominciato sessant’anni fa, all’idea che non c’è nulla di più importante di un sindacato confederale forte, moderno, saldo nei suoi valori di fondo.
Certo non ti nascondevi le difficoltà del presente. « Se penso alla diversità dei miei venti anni da quelli che sono i vent’anni dei ragazzi di oggi provo uno stato di angoscia. Mi sembra che il mio passato – che pure non è stato facilissimo – appaia come molto semplice perché in fondo la lotta per la libertà gli ha dato un senso ».
Penso che oggi Foa sarebbe contento dei tanti giovani che ieri hanno attraversato di nuovo le nostre città. Perché questi giovani in fondo danno ragione alla sua speranza.
D’altra parte proprio ai giovani aveva dedicato i suoi libri forse più importanti: lezioni del novecento, quelle che teneva ai giovani nelle scuole di Formia e le lettere della giovinezza, quella del carcere e di una stagione di grandissima tensione etica e civile.
A Sesa, al figlio Renzo e alle figlie Anna e Bettina, l’abbraccio di tutta la Cgil, il nostro affetto, il nostro cordoglio.
Senza la pazienza costante di Sesa, Vittorio non avrebbe potuto essere il Vittorio che abbiamo incontrato fino agli ultimi giorni. E anche senza tanti – dal suo medico di Formia agli altri – non avrebbe vissuto così serenamente la sua lunga vecchiaia.
Ci mancherai. Ma non ti sentiamo da un’ altra parte, né di lato neanche oggi. Ti continuiamo a sentire uno di noi, come quando il tuo sorriso e il tuo sguardo, quello delle fotografie che ti ritraggono, continuano a dirci come in fondo ci chiedevi e avresti voluto essere ricordato.
Così resti presente pur andando via. E nel restare dai un futuro e una speranza laica anche alla morte.