Mercedes Bresso: «Congresso subito? Un errore col voto alle porte»
Intervista di Simone Collini - L'Unità
Sbaglia chi mette in contrapposizione partito e amministratori locali, che sono invece una risorsa per ripartire e creare le condizioni per vincere la prossima volta».
Mercedes Bresso usa spesso la parola «ripartire», parlando del Pd. E, riferendosi al Pd locale, la presidente della Regione Piemonte parla addirittura di «ripartire da zero».
D’Alema che fa suo l’invito dei simpatizzanti del Pd incontrati a Firenze a «darsi una mossa», Franceschini che risponde che «da mesi ce la stiamo dando»: presidente Bresso, sarà mica da tenere d’occhio l’«avanti sindaci» lanciato da Chiamparino alla Festa di Milano?
«Che si possa contare sugli amministratori locali mi pare evidente, anche perché le prossime battaglie saranno proprio sul terreno delle città, delle province e, l’anno dopo, delle Regioni. Il Pd deve ripartire da questa risorsa che ha, e che è forte. Anche perché ormai, con questa legge elettorale assurda per le politiche, il livello in cui si forma la classe dirigente è questo. Sono i sindaci e i presidenti di Provincia e Regione, eletti direttamente, quelli su cui si deve poter contare per costruire consenso e arrivare, la prossima volta, alla vittoria sul piano nazionale. Ecco perché penso che si sbaglierebbe a mettere in contrapposizione partito e amministratori».
La contrapposizione si è vista però nei fatti a Torino, dove il sindaco Chiamparino si è trovato schierati contro i vertici del Pd locale.
«A Torino si è creata una contrapposizione fin dall’inizio, quando per accordi nazionali ci è stato detto che dovevamo sostenere un candidato rutelliano e un pezzo del partito non era d’accordo. Abbiamo svolto le primarie in condizioni rocambolesche e tutt’oggi il Pd piemontese è spaccato a metà. E non possiamo permetterci il lusso di andare in questo stato al voto di primavera».
E cosa bisogna fare, allora, secondo lei?
«Ripartire da zero. Solo così si possono ricreare le condizioni per una collaborazione. Non può esistere un partito che da una parte ha metà dei voti degli iscritti - o simpatizzanti, ancora non si sa bene cosa siano - e dall’altra parte ha il presidente di Regione e il sindaco del comune capoluogo, nonché ministro ombra per le Riforme. Bisogna superare questa fase perché altrimenti passiamo il tempo a discutere del nostro ombelico, invece che delle vere priorità».
Che sarebbero?
«I problemi reali delle persone e come costruiamo effettivamente un partito capace di dare le risposte necessarie».
Dice Cacciari che se si continua così per un anno il Pd ce lo giochiamo.
«Il rischio c’è. E credo che questo sia quello che pensano tanti nostri militanti e simpatizzanti. Ma sarebbe inutile e sbagliato dire ora che è colpa di questo o quello. Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo in una situazione difficilissima. Adesso, ripeto, dobbiamo ripartire dai problemi reali, sapendo che ci attende un autunno difficile e che temi tipici di una forza riformista e progressista da affrontare ce ne sono. Il Pd li deve assumere insieme a noi amministratori, perché dobbiamo farci i conti anche a livello locale e regionale».
Per superare questa fase, che Gentiloni definisce «di stallo», secondo lei sarebbe utile convocare in tempi rapidi il congresso?
«Non ne abbiamo bisogno, onestamente. Serve un confronto, questo sì, un’elaborazione politica e un’analisi dei problemi in campo, ma un congresso no. Forse qualcuno si dimentica che andiamo verso elezioni amministrative ed europee, e che dobbiamo vincerle».
Per quanto riguarda le amministrative, si discute di eventuali alleanze, con la sinistra, con l’Udc: lei che dice?
«Tutti gli analisti ci spiegano che l’appartenenza degli elettori è di schieramento, cioè che il Paese è una mela spaccata a metà e che i voti si prendono motivando la propria metà ad andare a votare. Se ci sono le condizioni possiamo anche fare alleanze allargando all’Udc, ma per vincere serve altro».
Ci sono amministratori del Pd che non firmeranno la petizione Salva l’Italia per rispetto, hanno spiegato, del loro ruolo istituzionale: lei cosa fa?
«L’ho già firmata. Quando si prendono decisioni del genere lo si fa come esponenti politici. Ma questo è evidente a tutti».
E lo strumento in sé come lo giudica?
«Serve una mobilitazione politica sui nostri temi che parli ai cittadini, e i temi della petizione vanno bene. Importante è essere capaci di gestirla positivamente, far sì che sia non soltanto un’iniziativa di rito ma che ci faccia tornare a parlare al Paese».
Il Pd si è pronunciato contro la gestione della vicenda Alitalia, eppure il governatore del Lazio Marrazzo ha deciso di partecipare alla cordata: fino a che punto può arrivare l’autonomia di un amministratore del Pd?
«Non vedo problemi o contraddizioni su questo punto. Quella di Marrazzo ritengo sia una sorta di sfida, anche per difendere Fiumicino. Ma non è compito in particolare degli amministratori né dell’opposizione sperare che l’operazione vada male. È giusto segnalare che è stato commesso un errore clamoroso nel non trattare allora da posizioni più di forza, ma oggi non si può che cercare di fare il meglio per il Paese. E gli amministratori locali non possono che trattare con il governo in carica».
A proposito di trattare: cosa dirà a Calderoli della bozza sul federalismo fiscale?
«Dobbiamo vedere i dettagli, perché è spesso qui che si nasconde il diavolo, però questa bozza è sostanzialmente una traduzione di quella che abbiamo messo a punto noi presidenti di Regione. Su due punti va ora fatta chiarezza. Il primo: per calcolare i trasferimenti delle risorse per le singole materie di competenza delle Regioni si deve far riferimento alla media di spesa degli ultimi tre anni e non prendere in considerazione i tagli effettuati dal governo per il futuro. Il secondo: le imposte che ci vengono attribuite non possono poi essere modificabili dal governo, perché se ogni anno le aliquote vengono cambiate, la situazione diventa ingestibile».