19 aprile 2024
Aggiornato 05:30
innovazione

Cos'è il Design Thinking e come si usa in azienda

Esistono tre differenti approcci al Design Thinking in grado di adattarsi a tutti i problemi posti dai processi di innovazione. Eccoli

Cos'è il Design Thinking e come si usa in azienda
Cos'è il Design Thinking e come si usa in azienda Foto: Shutterstock

MILANO - Cresce l’attenzione di manager, imprenditori, consulenti e si diffonde fra le imprese italiane il Design Thinking, l’approccio alternativo all’innovazione che si basa sull’abilità di integrare capacità analitiche, supportate da metodologie e tecniche quantitative, con attitudini creative, basate su processi di inferenza più sintetici e diretti. Un approccio sempre più pervasivo in vari contesti - dalla consulenza direzionale alla trasformazione digitale, dalla progettazione di esperienze digitali (UX/UI) allo sviluppo di nuove esperienze di consumo - come dimostrano le recenti acquisizioni avvenute nel mondo da parte di società di consulenza o di attori attivi nella trasformazione digitale nei confronti di agenzie di design, la moltiplicazione di corsi di laurea e MBA centrati sul tema del «design management», la nascita di startup che contribuiscono ad arricchire i servizi di supporto all’innovazione.

La maggior parte delle aziende (studi di design, startup, società tecnologiche, ecc.), utilizzano il Design Thinking per risolvere problemi complessi e ambigui sfruttando capacità analitiche e intuitive, per realizzare e testare prodotti o servizi pilota, per coinvolgere più profondamente i lavoratori nel processo creativo o per ridefinire la vision aziendale. Un approccio analizzato dall’Osservatorio del Politecnico di Milano che aiuterebbe le imprese e i consumatori a orientarsi in un mondo sommerso dalla tecnologia all’informazione. «Le imprese italiane non devono farsi trovare impreparate - afferma Roberto Verganti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business - perché a fare la differenza in un’epoca di crescente pervasività della tecnologia e dell’informazione sarà la capacità di coinvolgere i lavoratori nei processi creativi e nei cambiamenti organizzativi e creare prodotti e servizi che abbiano un valore e un significato per gli utenti».

Dalla ricerca emerge come non esista un unico approccio al Design Thinking in grado di adattarsi a tutti i problemi posti dai processi di innovazione, ma che è possibile riconoscere quattro modelli principali.

Il più adottato (scelto dall’81% delle imprese analizzate) è il Creative Problem Solving, l’approccio di Design Thinking per il quale le imprese innovano comprendendo i bisogni dell’utente e immaginando la più elevata gamma di soluzioni possibili per rispondere alle sue esigenze, per poi restringere il campo fino a trovare la soluzione dominante. Gli studi di design sono le aziende in cui l’adozione di questo approccio è più diffusa (94%), seguiti dalle società di sviluppo tecnologico (82%), dai consulenti strategici (69%) e dalle agenzie digitali (67%). Oltre ad essere molto diffuso, questo modello assume anche un peso rilevante nel portafoglio delle aziende: il 65,5% del fatturato annuale di queste imprese deriva da servizi basati su questo modello, di cui il 72,7% riguarda l’ambito Solution (che unisce i ricavi che derivano da servizi, 32,6%, prodotti, 21,0%, comunicazione, retail e esperienza), il 18,6% l’ambito Direction (di cui il 12,4% relativo al business model e il 6,2% a vision e brand) e l’8,7% l’ambito People (di cui il 6,0% per l’organizzazione e i processi e il 2,7% per la cultura aziendale).

Il secondo modello più adottato (49%) è la Sprint Execution, l’approccio che punta a realizzare un prodotto pronto per essere lanciato sul mercato e in linea con le esigenze degli utenti, che viene poi migliorato dopo aver analizzato l’interazione e la reazione dei consumatori. È utilizzato soprattutto dalle agenzie digitali (100%), mentre è preso molto meno in considerazione dai consulenti strategici (46%), dagli sviluppatori tecnologici (45%) e dagli studi di design (35%). Quasi metà del fatturato annuale di queste aziende (47,6%) è correlato a servizi basati su questo approccio, concentrato prevalentemente nell’ambito Solution (85,6%, di cui il 34,7% riguarda i prodotti e il 32,5% i servizi), mentre soltanto quote minoritarie riguardano gli ambiti Direction (9,7%) e People (4,7%).

Un’impresa su tre del campione (34%) utilizza la Creative Confidence, un modello che si differenzia dai primi due modelli perché punta principalmente sul coinvolgimento delle persone per creare e alimentare una cultura organizzativa e una mentalità adatte ad affrontare con fiducia i processi di innovazione. Questo approccio è adottato soprattutto dai consulenti strategici (54%), seguiti dagli studi di design (35%) e dagli sviluppatori tecnologici (27%), mentre non è presente fra le agenzie digitali. La minore diffusione di questo modello si riflette anche nel suo peso sui risultati finanziari delle imprese: i servizi basati su questo approccio valgono il 35% del fatturato annuale, di cui il 54,3% concentrato nell’ambito People (30,6% organizzazione e processi e 23,7% cultura aziendale), il 26,3% nell’ambito Solution (di cui il 16,2% nei servizi) e il 19,4% nell’ambito Direction (in cui spicca il 12,7% per il business model).

L’Innovation of Meaning, infine, è l’approccio col quale le imprese ridefiniscono la visione aziendale, i messaggi e i valori legati ai prodotti e ai servizi che offrono. Questo modello è adottato dal 34% del campione, con i consulenti strategici (46%) e gli studi di design (41%) che si mostrano più avanti nell’adozione, mentre appaiono meno interessate le agenzie digitali (33%) e gli sviluppatori tecnologici (9%). Anche in questo caso, alla minor diffusione corrisponde un minor impatto sui risultati finanziari: l’Innovation of Meaning vale il 34,7% del fatturato annuale delle imprese che la adottano, concentrato soprattutto nell’ambito Direction (41,7%, di cui il 23,9% business model e il 17,8% brand e vision) e Solution (36,7%), in cui spiccano i servizi col 16,6%, mentre è più marginale la quota che deriva dall’ambito People (21,6%).

Sono 150 le startup censite dall’Osservatorio a livello internazionale a supporto dei processi di Design Thinking, per un finanziamento complessivo di 908 milioni di dollari (circa sette milioni in media per ogni startup). Gli Stati Uniti sono l’area più avanzata, con 86 startup, il doppio di quelle presenti in Europa (41). Soltanto tre delle startup analizzate operano in Italia. «L’ecosistema delle startup a supporto dei processi di Design Thinking è ancora immaturo a livello internazionale e ancora di più in Italia – afferma Cabirio Cautela, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. Il fatto che solo tre delle startup analizzate operino nello Stivale conferma che i fornitori italiani di Design Thinking siano ancora obbligati a cercare all’estero nuove opportunità e collaborazioni per migliorare i propri processi di innovazione. Tuttavia, pur operando in un contesto arretrato, la maggior parte delle startup (84) conta più di 10 addetti e sembra dunque dotata di una consolidata struttura organizzativa. Un segnale che fa ben sperare in sviluppi positivi nel prossimo futuro». Le soluzioni più offerte dalle startup sono quelle di Creative Confidence (66 startup, il 44%), seguite dalle soluzioni di Creative Problem Solving (34 startup, il 23%), da quelle di Sprint Execution (32 startup, il 21%) e da soluzioni di Innovation of Meaning (18 startup, il 12%).