Da una startup un microchip nel cervello per la memoria
Il dispositivo è pensato per chi soffre di Alzheimer o altre forme di demenza, o chi ha problemi di memoria dovuti a un trauma. Faciliterebbe l'immagazzinamento dei ricordi e il loro utilizzo

SAN FRANCISCO - Pensate a come sarebbe se poteste aumentare le vostre capacità di memorizzazione attraverso un microchip da impiantare nel cervello, in grado di ampliare notevolmente le vostre potenzialità cerebrali. Fantascienza? Magari un tempo, un’idea come questa, avrebbe potuto ispirare qualche ardito regista di Hollywood. Oggi, invece, è la nuda e cruda realtà. O meglio di qualcosa che la realtà potrebbe raggiungerla molto presto. E’ l’idea della startup Kernel.
L’azienda, infatti, propone un microchip da inserire chirurgicamente nel cervello del paziente. Il dispositivo è pensato per chi soffre di Alzheimer o altre forme di demenza, o chi ha problemi di memoria dovuti a un trauma. Secondo gli studi della startup il dispositivo dovrebbe essere inserito in prossimità dell’ippocampo, una parte del cervello che, tra le altre cose, fa funzionare la nostra memoria a lungo termine. Lo scopo è creare una stimolazione tra gli elettrodi del microchip e i neuroni per farli funzionare al meglio.
Come funziona
Nel momento in cui l’individuo impara qualcosa di nuovo, il microchip registra l’attività elettrica, immagazzinando quello che può essere definito «ricordo». Successivamente questi segnali vengono "tradotti», dando la possibilità al microchip di stimolare il cervello con i ricordi che ha memorizzato. Un’idea fantascientifica, forse, ma che ha già trovato applicazione in diversi test su esseri umani, effettuati dal responsabile della ricerca Ted Berger dell’Università della California del Sud.
Prendiamo questi codici di memoria, li amplifichiamo e li rimettiamo nel cervello
La complessità della materia
L’argomento, peraltro, non è dei più chiari: sono ancora tanti i dubbi su come il nostro cervello è capace di creare e immagazzinare i ricordi. Nel corso delle ricerche Berger ha scoperto che, nei ratti, la creazione dei ricordi crea sequenze elettriche che in parte sono comuni a tutti gli esemplari, ma questo fenomeno non si verifica nei primati. Un problema che, per certi aspetti, rimanda al numero dei neuroni: 200 milioni nei ratti e 86 miliardi negli esseri umani. Il settore in cui si sta addestrando questa startup, quindi, non è dei più solidi, ma forse è proprio qui che sta l’innovazione: cercare di trovare delle spiegazioni scientifiche anche grazie all’apporto della tecnologia. Ora, la linea che divide uomo e macchina si sta facendo sempre più sottile e pare lecito domandarsi se un giorno non si estinguerà del tutto. Nel frattempo, potremmo capire molte cose. E forse, un giorno, anche riuscire a cancellare quei ricordi brutti che non fanno più parte della nostra vita.