29 marzo 2024
Aggiornato 06:00
Gran Bretagna

Tagli alla spesa, primo test riuscito per Cameron

Anche se gli effetti sull'opinione pubblica rimangono ancora tutti da vedere. Il premier britannico il 4 agosto a Roma

LONDRA - La prima parte della missione è compiuta: David Cameron - in visita a Roma il prossimo 4 agosto - è riuscito a far superare al primo governo di coalizione britannico in tempo di pace lo scoglio della legge finanziaria e dei conseguenti taglia alla spesa, anche se gli effetti sull'opinione pubblica, in Gran Bretagna come negli altri Paesi colpiti dalla crisi, rimangono ancora tutti da vedere.

Se a due mesi dalle elezioni per il premier - qualche gaffe diplomatica a parte - tutto sembra filare liscio, la stessa cosa non si può dire né dei Conservatori, alle prese con un dibattito interno tra chi considera la coalizione un tradimento del thatcherismo, né soprattutto dei Liberal-Democratici, che rischiano di finire schiacciati fra l'incudine dell'alleanza di governo e il martello degli elettori.
D'altronde, secondo gli analisti, un governo di coalizione era non il male minore, ma il sogno politico di Cameron: l'alleanza infatti gli consentirebbe di riuscire nel progetto che il New Labour di Tony Blair non seppe portare a termine, conquistare definitivamente il centro della politica britannica dove si decide del fato di ogni elezione.

Per raggiungere quest'obbiettivo, Cameron deve tuttavia sbarazzarsi dell'ala destra del partito, ridisegnando l'immagine dei Tories da «Partito cattivo» a moderno, verde e liberale: nulla di meglio che sfruttare la presenza rassicurante dei Lib-Dem; e se i tagli alla spesa dovessero far ricordare i tempi del thatcherismo, «il manico dell'accetta porterà anche le impronte dei liberal-democratici».

Se la strategia dovesse funzionare, il guadagno potrebbe essere enorme: escludere il Labour dal centro. Poi, quando arriverà il momento di affrontare le urne, Cameron potrà presentarsi come la scelta liberale e ragionevole: perché prendersi il disturbo di votare Lib-Dem? All'orizzonte, si profilerebbe l'egemonia elettorale. Questo era il sogno dell'idolo di Cameron, Tony Blair: anch'egli nel 1997 immaginò un'alleanza con i Lib-Dem che avrebbe reso il Labour partito dominante, ma non ci riuscì perché fece un errore che Cameron ha evitato: vincere troppi seggi.

SeSe al contrario le cose dovessero andare storte, per Cameron il futuro si preannuncia grigio: il premier ha ottenuto l'obbiettivo minimo, ovvero riportare i Tories al governo dopo 13 anni, ma ha attraversato però la soglia di Downing Street non trionfalmente come previsto alla vigilia, ma con una maggioranza relativa e in compagnia di un alleato scomodo; se il progetto dovesse fallire, difficilmente gli verrà perdonato.

Assai peggio potrebbe invece andare agli alleati di coalizione: Nick Clegg, il «kingmaker», potrebbe aver posto la corona sulla testa sbagliata, ancorché l'aritmetica parlamentare rendesse la sua una scelta quasi obbligata: ha sì ottenuto il referendum sulla legge elettorale, ma con la clausola di una libera campagna contro da parte dei parlamentari Conservatori.

Interesse nazionale o no, buona parte della base guarda con orrore al concubinato con i Tories e il «parlamentino» del partito ha approvato l'alleanza a larga maggioranza ma non senza proteste (e senza che vi fossero più alternative se non rimanere all'opposizione).

In sostanza, Clegg è vicepremier di un governo chiamato a scelte infelici senza ricevere nessuna vera garanzia in cambio, e con la minaccia di una prossima e rapida vendetta dei suoi elettori. Non a caso alcuni Ministri Lib-Dem hanno avvertito Clegg che non occorre dare l'impressione di accettare supinamente i tagli decisi dal governo: «Se sembra che ne siamo soddisfatti, siamo morti».