19 aprile 2024
Aggiornato 14:30
Diritti Umani

Giornata contro la schiavitù. l'Onu: 27 milioni di nuovi schiavi

Gulnara Shahinian: «Nessun Paese è immune. Le vittime sono poveri, migranti, molto spesso donne»

ROMA - «I dati ufficiali dicono 27 milioni, ma il fenomeno è diffuso in tutto il mondo e, per sua natura, sfugge alle statistiche»: Gulnara Shahinian, relatrice speciale sulle forme contemporanee di schiavitù dell'ufficio dell'alto commissario dell'ONU per i diritti umani, dice alla misna che le vittime sono poveri, migranti, molto spesso donne.

«Nessun paese», dice la relatrice dalla capitale armena Erevan - può dirsi immune: i migranti sono in generale i più colpiti, con tante donne in fuga da degrado e povertà costrette a lavorare in strada o come domestiche isolate dal mondo e da una lingua che non conoscono». Oggi si celebra la giornata internazionale per l'abolizione della schiavitù, nel 60° anniversario dell'adozione da parte dell'assemblea generale dell'ONU della convenzione per l'eliminazione del traffico di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione. Il segretario generale delle nazioni unite, Ban ki-moon, sottolinea che combattere la schiavitù non significa solo proibirla per legge ma anche «lottare contro povertà, analfabetismo, disuguaglianze economiche e sociali, discriminazioni di genere e violenza contro donne e bambini».

Secondo Shahinian, è fondamentale che l'impegno dei governi si intrecci a una nuova consapevolezza da parte della società civile. «le notizie finanziarie degli ultimi giorni», dice la relatrice in riferimento ai debiti miliardari di Dubai e ai tonfi delle borse mondiali, «dovrebbero spingere a riflettere su una crescita globale che calpesta i diritti: negli emirati arabi uniti i permessi di soggiorno sono vincolati a contratti con uno specifico datore di lavoro, dal quale il migrante si trova a dipendere in modo pressoché totale». Accanto alle nuove forme di schiavitù restano le vecchie, legate spesso alla questione della terra. Da Haiti al Paraguay, dice Shahinian, milioni di indigeni sono obbligati a lavorare nelle piantagioni in cambio di una misera parte del raccolto o di un salario da fame.

Il problema riguarda anche l'africa e ad esempio la Mauritania, un paese che la relatrice dell'ONU ha visitato poche settimane fa. «la proprietà della terra», sostiene Shahinian, «continua a dividere gli «Harratin» di pelle scura dalle élite locali». Proprio dalla Mauritania, 18 anni dopo l'abolizione per legge della schiavitù, arriva però la speranza di un nuovo impegno. «il governo», dice la relatrice dell'ONU alla Misna, «ha avviato speciali programmi di addestramento per poliziotti e operatori sociali: la gravità del problema, insomma, viene riconosciuta».