Crisi demografica, Italia verso il collasso
Il punto di non ritorno si raggiungerà nel 2062, quando verrà sfiorata la soglia limite delle 400 mila nascite annue e, secondo lo scenario più ottimistico, non saranno più sufficienti a compensare il numero dei morti. E non basteranno le famiglie di immigrati a tamponare la ferita.

BOLOGNA - Il punto di non ritorno si raggiungerà nel 2062, quando verrà sfiorata la soglia limite delle 400 mila nascite annue e, secondo lo scenario più ottimistico, non saranno più sufficienti a compensare il numero dei morti. E non basteranno le famiglie di immigrati a tamponare la ferita: già nel 2016 i nati da cittadine straniere si sono ridotti del 2,2% rispetto l'anno precedente, in calo costante dal 2012. Non si dovrà nemmeno attendere cinquant'anni: l'allarme denatalità in Italia è già suonato a leggere le statistiche secondo le quali nei prossimi vent'anni le donne in età feconda si ridurranno di circa 3 milioni e questo determinerà, a trend invariato, circa 60 mila nati in meno a oggi.
Le conseguenze le elenca Giorgio Vittadini, professore di Statistica metodologica all'università Bicocca di Milano e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: «Avremo meno forza lavoro e quindi saremo meno produttivi, ci saranno più persone anziane da assistere, il sistema del welfare crollerà e andremo verso il collasso». Per far uscire il Paese dal vicolo cieco in cui si è incuneato, non è sufficiente la narrazione dei numeri: i decisori politici devono passare dal «dire» al «fare», dal promuovere «interventi occasionali e privi di una visione coerente» ad un «rilancio della natalità» avendo ben chiari i destinatari e il «piano d'azione».
Il messaggio lo ha lanciato la Fondazione per la Sussidiarietà durante un convegno al Cnel per presentare il rapporto 2016/2017 «Sussidiarietà e? crisi demografica»: per allinearci a un paese che ci è vicino e simile per dimensione demografica, come è la Francia (loro sono in 64 milioni di abitanti, noi 60 milioni; loro hanno 800 mila nuovi nati l'anno e noi 470 mila), ci mancano all'appello quasi 300 mila nati.
«Pensare di guarire immediatamente non è possibile - ha spiegato Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Demografia alla Bicocca - cominciamo però a sistemare il ricambio generazionale e a far arrivare nuove forze» per tenere in piedi il sistema. In Italia politiche miopi di decenni non hanno permesso di affrontare la questione nel complesso: «mai una politica demografica seria, sempre solo interventi e aiuti a quelli considerati più 'poveri', dimenticando che le classi medie non erano 'ricche' e andavano maggiormente sostenute» per consentire loro di fare figli.
Tante le «leggerezze» che ci hanno portato a questi livelli, come ha ricordato Vittadini: «i 'bonus bebe' non sono sufficienti, serve una legislazione che aiuti le famiglie a produrre e formare quel capitale umano» di cui la società ha bisogno e che «permetta alle donne di conciliare maternità e lavoro». E poi serve una migliore «valorizzazione degli anziani», perché ormai su questo siamo stati sorpassati persino dagli Usa: «devono essere considerati ancora indispensabili per la società e non degli 'scarti'». E poi la «stupidità» più grande degli ultimi decenni: disperdere il giovane capitale umano. Delle 157 mila uscite dall'Italia nel corso del 2016 solo 42 mila coinvolgono cittadini stranieri; le restanti 115 mila uscite riguardano italiani, con un aumento del 12,6% rispetto l'anno precedente. «Abbiamo lasciato scappare i giovani per la cui formazione il Paese ha speso risorse - ricorda Blangiardo -. In questo modo stiamo regalando i migliori cervelli ai nostri concorrenti e la nostra società si impoverisce».
Bisogna invertire la rotta, per questo la Fondazione per la Sussidiarietà insiste sul «rilancio della natalità come investimento» e sulla necessità di passare «dall'accoglienza solidale all'inserimento sociale dei migranti». Sono temi - conclude amaro Vittadini - su cui «si è portato avanti un dibattito ideologico che uccide la possibilità di entrare nel merito di questioni che sono tutt'altro che 'di parte'. Non si può discutere sempre e solo di emergenza, serve una visione laica per risolvere problemi fuori dalle isterie».