26 aprile 2024
Aggiornato 21:30
Ecco perché l’atomo non conviene

Da Festambiente Legambiente fai i conti in tasca al nucleare

Sussidi diretti e indiretti, prestiti agevolati, sconti, ricerca, spese “nascoste” sostenute dai contribuenti

Ma quanto costa veramente il nucleare e soprattutto chi paga il conto? Il tema energetico non può essere affrontato con soli slogan e annunci. Tra le numerose dichiarazioni del governo sul rilancio e la convenienza dell’atomo nel nostro Paese mancano tante risposte sulla strategia prevista e sui suoi costi reali. Da Festambiente 2008, il suo festival di ecologia e solidarietà, quest’anno dedicato ai grandi temi dei cambiamenti climatici, del risparmio energetico e dello sviluppo delle fonti rinnovabili, Legambiente spiega, numeri alla mano, perché il nucleare non conviene. Previsioni di spesa sottodimensionate per la costruzione delle centrali, costi pubblici diretti e indiretti tra sussidi e prestiti agevolati, risorse destinate alla ricerca sono queste le voci principali del rapporto redatto dall’associazione per chiedere conto al governo della sua strategia. Perché in Italia ogni cittadino deve ancora sostenere - e forse non lo sa - ingenti spese per coprire i buchi lasciati dall’eredità nucleare del passato.

Per procedere alla «rottamazione» delle centrali chiuse dopo il 1987 è stata creata un’apposita azienda, la Sogin. Per finanziarla - denuncia Legambiente - i cittadini italiani pagano in media 150 milioni di euro l’anno, prelevati direttamente dalla bolletta elettrica sotto la voce A2. Ed è l’agenzia di rating Moody's a sottolineare nel 2008 come «le speranze riposte nel nucleare sono sovrastimate». Quando si valutano i costi del nucleare bisognerebbe considerare l’intero ciclo di vita del processo: dai fondi destinati alla ricerca e sviluppo delle tecnologie, fino ai finanziamenti necessari alla chiusura delle centrali e a quelli da investire per individuare i siti di stoccaggio delle scorie. Voci di spesa che puntualmente vengono omesse dai calcoli di previsione ma che poi finiscono per pesare sui bilanci dei contribuenti.

Nella ricerca  il nucleare gioca il ruolo dell’asso piglia tutto. Dalla metà degli anni 70 ad oggi, secondo i dati forniti dalla IEA, i paesi industrializzati hanno garantito agli studi sulla fissione e sulla fusione il 48 per cento delle spese pubbliche destinate alla ricerca nel settore energia. Alle rinnovabili, nello stesso arco di tempo, è andato solo il 9 per cento. Proprio l’Italia rappresenta uno dei casi più eclatanti. In un paese che nel 1987 ha detto no alle centrali con un referendum popolare, il nucleare continua a essere la fonte che nel 2006 ha assorbito più finanziamenti nel campo della ricerca sbarrando la strada alle rinnovabili e all’efficienza energetica. Il nucleare ha continuato a rappresentare non una ma la principale voce di spesa nel campo della ricerca italiana in campo energetico, riuscendo ad assorbire negli ultimi 15 anni il 53 per cento dei fondi, contro il 10 per cento per le rinnovabili.

In queste settimane la discussione in Italia ha avuto come riferimento quanto dichiarato da Enel come stima per i costi di costruzione di una centrale da 1.700-1800 MW che si aggirerebbe tra i 3 e i 3,5 miliardi di euro e dunque 1800 e 2000 euro a kW. Il problema è che in tutte le stime a livello internazionale la cifra è ben superiore. In Finlandia, con il cantiere dell'EPR ancora in corso, le cifre dei costi effettivi superano già i 5 miliardi di euro per la stessa tipologia di centrale proposta da Enel. Tra le valutazioni più ottimistiche quella fatta nel 2007 dal Keystone Center, secondo cui una nuova centrale negli Stati Uniti costerebbe tra i 3600 e i 4000 dollari per kW per una spesa complessiva di almeno 6 miliardi e mezzo di dollari per un reattore da 1800 MW. Più cauto è il mondo finanziario. Moody’s Investors service ha valutato la necessita di 7000 dollari per kW di investimento iniziale. In Europa invece una delle ultime valutazioni è stata fatta dalla  E.On, il colosso tedesco dell’energia, secondo cui bisogna prevedere un costo di almeno 6 miliardi di euro per un reattore da 1600 MW.

«Occorre che il governo chiarisca quali sarebbero i vantaggi per il Paese e i cittadini – commenta Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente -. Il nucleare viene presentato come strumento di lotta ai cambiamenti climatici, ma nella realtà rischia di tagliare fuori l’Italia dagli obiettivi di riduzione previsti dall’Unione Europea al 2020: il  20% di riduzione delle emissioni di CO2 - 30% nel caso di accordo internazionale -, il 20% di produzione energetica da rinnovabili e il 20% di miglioramento dell’efficienza energetica».

Sull’argomento domenica 10 agosto alle ore 19,30 presso Festambiente in corso di svolgimento a Rispescia(Gr) si confronteranno Chicco Testa, autore del libro «ritorno al nucleare?», Edoardo Zanchini, responsabile Energia di Legambiente, Roberto Della Seta, commissione Ambiente del Senato, coordinati da Giuliano Giubilei, giornalista.