24 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Mangiare fuori

Un amaro assaggio di Tigella Biella

Da uno dei locali di maggior tendenza del Biellese e che fa del tema «prosciutto crudo e gnocco fritto» la propria insegna ci si aspetterebbe qualche cosa di meglio

BIELLA - Un ristorante - se questo bel luogo può così essere etichettato - non si può giudicare dopo una sola visita, ma in questo caso, spostando di qualche grado verso l'alto il parametro di valutazione di una qualsiasi forma di ristorazione che esca da questo concetto, allora un solo passaggio potrebbe comunque essere sufficiente, e non tanto per valutarne oggettivamente la proposta dopo la digestione, quanto per verificare serenamente e pacatamente quanto la convergenza, la congiunzione cerebrale tra ristoratore e cliente qui si sia compiuta con successo. Tutti felici. Perfetto. Esco.

DOMANDA E OFFERTA - La domanda va incontro all'offerta? L'offerta va incontro alla domanda? Fior di economisti ci hanno lasciato lacrime e inchiostro sul tema, senza definitive risposte, perché tanto basta a chiudere il cerchio, quello poi più difficile da riaprire, cercando di spaccare mode e teorie. L'occhio allenato da quattro decenni di frequentazioni di ogni genere mi dovrebbe aiutare, e invece no, perché anche qui come spesso altrove in città mi trovo totalmente avulso dal sistema, a guardare mestamente il marciapiede da dietro il vetro, mentre le prime gocce di piogge cadono.

OPEN TODAY - E' pieno già dalle 13,  e quindi, come spesso mi capita di dover affermare a capo chino, hanno ragione loro e non io che non intendo, N'Intendo dai tempi di Super Mario. Ce ne sono anche altri di locali in città che stanno battendo il sentiero, quello del tagliere, fine o grossolano, non importa, e tutti, funzionano, comunque, con qualsiasi cosa sanguinolenta messa ai ferri di una griglia o sottoposta come Robespierre ad una silenziosa lama liscia rotante. Anche oggi sono giunti qui in 50, nel primo giorno di riapertura, arrivati come conseguenza di chissà quale segnale congiunto, un appuntamento da non mancare. Un segnale di fumo perfino scevro da forno da pizza, quindi ancor più sorprendente.

TAGLIERE MISTO - Gli gnocchi fritti arrivano ancor prima degli affettati, assaggiati tutti - i salumi - per non dar nulla di scontato, ma per dar un buffetto alla mia guancia di fronte alla coscia di maiale che ha stagionato per 18 mesi prima di finire affettata. Cerco anche altro. Forme, salagioni, stagionature ... bha , coppa, salame Felino, mortadella, pancetta ... ma non sta bene sputare sul piatto dove si ha mangiato, pur portandosi via una lingua più spessa di quella di quel povero maiale che ci ha rimesso la cotenna. Si salva (imho), il prosciutto, giustamente infilato in ogni tagliere, con la qualunque cosa, a difendere il titolo. Cercare un culatello qui sarebbe come cercare un lato B interessante negli anni '50. Ah! Uno zampone o, meglio, una lasagna emiliana, emblema di ogni lato A della Pianura Padana mi riscalderebbe il cuore più di questo limoncello.

IL RESTO - Delle famose salsine - otto e servite con precisione e descrizione implacabile - se ne salvano una e mezza (imho), ma lo squaquerone, che salsa non è, risulta il più appagante. Emilia? Beh, la birra con quel titolo esiste, mentre nessun nocino trova qui gemellaggio con quella benedetta terra, al contrario del balsamico, diventato ormai una eccezione industriale piuttosto di una regola artigianale. Provate a chiedere un "aceto di vino" in un qualunque locale di fascia media ...   Le paste fresche o ripiene si fanno dichiaratamente altrove, onestà che va sottolineata, mentre per il capitolo carni mi rivolgo agli ormai molti dirimpettai di gomito, che mi fanno pollice valgo, tutti ripiegati verso i taglieri che ormai li hanno soggiogati, e con mia somma sorpresa, anche appagati.