“La memoria serve ad affrontare il futuro”, incontro con Dacia Maraini a Pordenonelegge
La scrittrice di “Bagheria” in un intenso dialogo con Gian Mario Villalta, scandito dalle interpretazioni di Piera degli Esposti
PORDENONE – «Perchè aprire con una donna? Per di più Italiana?» questa la provocazione lanciata da molti a Gian Mario Villalta, che ha scelto Dacia Maraini per inaugurare questa edizione di Pordenonelegge. «È molto semplice – risponde il direttore artistico – ho scelto lei perché è attualissima e seguitissima, oltre a portare con sé la memoria del nostro paese. Non memoria in senso momumentale, ma nell’accezione più reale del termine».
Reale è il rapporto della scrittrice con la storia e la letteratura, reali sono le immagini che evoca nella conferenza stampa prima dello spettacolo più atteso della giornata. Concreto il suo ricordo di Alberto Moravia, compagno di vita per sedici anni: «Era molto più vecchio di me, eppure io vedevo in lui un bambino. Quando capitavamo in locale con della musica, mi invitava sempre a ballare. Io gli dicevo sempre, tu sei più figlio che padre». Per non parlare della profonda amicizia con Pier Paolo Pasolini, fu proprio lui a presentarle Piera degli Esposti: «All’inizio Pier Paolo voleva che scrivessi una Medea per lei. Era ossessionata dalla sua storia personale, originale e tragica. Ne sono rimasta tanto affascinata che ho messo da parte Medea: prima era urgente occuparsi della ‘Storia di Piera’, che abbiamo scritto insieme. L’ho aiutata a elaborare la tragedia con la sua inconfondibile vis comica».
Un’anticipazione di quello che avverrà tra poco: Piera degli Esposti leggerà degli estratti da «Bagheria», «La lunga vita di Marianna Ucria» e un breve saggio su Terry Schiavo. Succederà a pochi metri dalla sala stampa, al Teatro Verdi, dove la folla si sta radunando da almeno un’ora.
Dacia Maraini non sembra agitata. Sorride molto, guarda spesso verso l’alto, eppure ciò che dice aderisce alla realtà, al concreto, delineandone ogni sfumatura. Uno sguardo che punta alle stelle, ma i piedi sono radicati al terreno. Quando le rivolgo la mia domanda lo capisco molto bene: quello sguardo che incrocia il mio ha visto più o meno un secolo di storia. Non semplicemente di vita: di storia.
Le parlo di quanto mi colpisca la sua capacità di mettersi nei panni degli altri senza giudicarli. Per tutta la vita si è occupata di violenza sulle donne ma non ha mai espresso rabbia o rancore verso il genere maschile, quello che inizia le guerre e affolla le carceri. Ricordo una sua intervista, in cui definiva gli uomini «Vittime di un condizionamento sociale che li porta a temere le donne. Una tara culturale vecchia quanto la cacciata di Eva dal Paradiso». Le chiedo del suo ultimo romanzo, ‘La bambina e il sognatore’, raccontato dal punto di vista di un maschio. Come ha fatto Dacia Maraini a ‘diventare’ un uomo per quattrocento pagine?
«Non ho trovato difficoltà – risponde subito - è stato molto naturale. Non credo ci sia questa differenza fondamentale tra donna e uomo, è la cultura che ha creato la differenza, non la biologia. Un bambino non nasce stupratore, lo diventa. La violenza si annida in tutti noi, uomini e donne. Le donne hanno imparato a sublimarla perché sono state costrette, non perché sono esseri angelici. Gli uomini devono imparare a fare altrettanto, si chiama etica ed è ciò che ci differenzia dagli animali, che uccidono naturalmente». Ricordiamo che Dacia Maraini è vegetariana: ancora una volta nessun giudizio di valore verso alcuna forma vivente: «Gli uomini hanno avuto un’educazione contraddittoria: è stato detto loro di non uccidere, ma ciò non vale quando il governo li schiera in guerra. Uccidi ma non uccidere, è un condizionemanto sociale molto pericoloso, come la cultura del possesso. Ci è stato insegnato che amare qualcuno significa possederlo, mentre è antidemocratico possedere un essere umano: è schiavitù. La cultura del possesso è in grado di trasformare un uomo mite in un assassino, se colei che considera la ‘sua’ donna inizia ad emanciparsi».
Per niente stanca, Dacia Maraini saluta la stampa e guadagna il palco del teatro Verdi, dove ci parla della sua memoria storica. Anche di quei due anni in Giappone, trascorsi dentro un campo di concentramento: «Io e la mia famiglia siamo stati prigionieri politici perché abbiamo rifiutato di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. Le persone morivano accanto a me ogni giorno. Per due anni, ogni giorno, mi sono stupita di essere viva. Non ne ho mai parlato direttamente in un romanzo ma vorrei farlo, prima di morire».
Grazie alla voce di Piera degli Esposti veniamo catapultati nella Sicilia di ‘Bagheria’, e poi di Marianna Ucrìa, per poi venir sbalzati nuovamente nel presente a discutere del tema più scottante in assoluto: l’eutanasia. In particolare, il caso di Terry Schiavo: «Una vicenda che non è stata trattata con il dovuto riserbo e rispetto, perché troppi erano gli interessi in gioco: sociali ma soprattutto economici. L’eutanasia è un concetto giusto nelle intenzioni, ma ogni caso va valutato molto attentamente».
Negli anni infantili di Dacia Maraini nessuno veniva tenuto in vita artificialmente, sono temi recenti che vanno affrontati con la consapevolezza del passato: «A volte crediamo che la memoria sia un nemico, al giorno d’oggi la seppelliamo con droga e psicofarmaci. Ma la memoria va affrontata perché serve ad affrontare il futuro. L’ho imparato a mie spese».
Una memoria ingombrante, quella di Dacia Maraini: «Ricordo quando mio padre si è tagliato un mignolo per non farsi uccidere dalla polizia Giapponese, un gesto ispirato all’etica dei samurai, che ha impressionato gli aguzzini e gli ha salvato la vita». E ancora: «Io e mia sorella facevamo lavori di cucito, in cambio dei quali ci davano una patata da dividere in quattro. Una volta ci hanno dato delle rape marce. Ho pianto a lungo quando le ho viste, eppure le ho mangiate. Come Pinocchio con le bucce di pera».
Forse ho avuto un assaggio di tutto questo in sala stampa, quando ho incontrato il suo sguardo. Ho avvertito la potenza, e anche la crudeltà, della Storia.
E di un passato che, se affrontato, conferisce il potere di capire il futuro.