23 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Il 25 e 26 novembre 2019

Anche Patti Smith dice «Trieste I love you»

Doppio sold-out al Rossetti in altrettante serate indimenticabili

TRIESTE - Tutti dicono Trieste I love you. Non è il titolo del prossimo film sbanca-botteghino made in Hollywood (però non si sa mai!) ma il sunto del discovering the city di due giorni da parte della sacerdotessa del rock - ladies & gentlemen - Patti Smith. Così i social si prodigano per raccontarci, ora dopo ora, minuto dopo minuto e con abbondanza di foto e dettagli, la sua working holiday a mo’ di testimonial-guida alternativa del capoluogo giuliano, divenuto da qualche tempo centro del mondo turistico nonché aspirante capitale del cinema, della gastronomia, della scienza, della musica, di tutto.

Lonely Planet e Touring sono avvisate: aggiornare l’impaginazione! Many people from Slovenia, Croazia, Austria, Germania, Serbia e da tutto il triveneto sono venute ad omaggiare la divinità, che apre con una poesia di Srečko Kosovel, from Sezana. Format dei concerti decisamente abbinato al bleu ed oro del Politeama Rossetti, stracolmo in ogni ordine di posto. Una traccia musicale a braccetto con il fido Tony Shanahan, una poesia di un autore locale. Elegie duinesi di Rilke, Dancing Barefoot: che cosa si può chiedere di più dalla vita?! Dicevamo, anche Patti Smith dice «Trieste I love you!» Amore incondizionato da parte della Nostra per la città ospitante che va in parallelo all’enorme soddisfazione (non solo professionale) per la Vigna PR che, dopo le prime pagine (anche nazionali!) per il secret concert di Manu Chao di quest’estate, segna un altro capitolo da «lo abbiamo fatto noi!» della sua breve - ma già piena di soddisfazioni - storia.

E’ il momento del pistolotto climate change, che i bookmakers quotavano un niente e che non sconfina fortunatamente in recital per pianoforte e sardine, con buona pace del pubblico che applaude incondizionatamente. «We shall live again» su echi nativi americani, e lei ricorda tanto Toro Seduto ma con capelli più spettinati, dress code totally black, stivaletti probabilmente di Dior. «Every angel is terrible» legge dal taccuino da viaggio, rituale che intervalla ogni canzone. Uno show unico, un unicum artista-città-arte. Un altro simpatico classico di casa nostra: quello del pubblico italiano che ride con grande vigore alle battute di chi sta sul palco per ostentare un’ottima conoscenza della lingua inglese. It’s a bluff! Sguardo disincantato: Frederick assente all’appello. Emozioni fortissime: tutto ed il contrario di tutto in un vortice di conturbante rapimento. Patti Smith è l’uragano: carisma da vendere a peso d’oro, forza d’animo, curiosità, nerbo, generosità, uno stile ruvido quanto franco, magnetico, inquietante. Si - ha ancora molto da dare - anche se è probabile che abbia già detto tutto. Scivolano via ancora pagine, frammenti di liriche: «voices listen my hart, to die young» in tono grave, cupo, inevitabilmente apocalittico per un concerto che vale tanto dal punto di vista emotivo, che mira alla pancia degli intellettuali.

E ci prende in pieno. Si passa alla dedica alla city of Venice del compagno di viaggio dell’ultimo quarto di secolo. Si cita ancora Mother nature; ora la nostra eroina è seduta per terra in contemplazione in posa da icona Erasmus style. E poi è lei che porta un mazzo di fiori a lui. Ovazione! Finale strepitoso, meno intimo ed in crescendo. Neil Young, gli anni Settanta, i suoi vent’anni, i ventenni di ora, un messaggio ai ventenni di ora, the beauty is nothing. Thank you. E quelle mani che disegnano traiettorie di ouroboros armonici. Because the night, a firma Springsteen. Occorre forse scrivere seguita da standing ovation oppure è scontato? Gloria, di Van Morrison. E nella prima serata Perfect Day di Lou Reed.

Due altre leggende, tanto per non farsi mancar nulla. C’è una differenza fra gli applausi tributati per una performance e quelli per un’intera carriera; hanno una consistenza diversa. Non che l’esibizione di PS sia stata deludente, anzi, ma l’onda di battimani che investe la sacerdotessa è del secondo tipo. Perchè quello alla carriera è un applauso liberatorio, quasi disperato, trattenuto nei palmi ed in gola da anni, da decenni, da una vita. E’ un qualcosa che si vuol far percepire all’artista al di là del fragore. Mira all’anima. Vuoi che le rimanga dentro, per sempre. Finalone con «People have the power»: talmente anacronistico da sembrare bello, da sembrare vero! Ma dopo una notte del genere - dove tutto pare possibile - perchè non crederci?! Evento da «io c’ero». In una parola: indimenticabile.