Malala, la ragazzina che ha sfidato i talebani
Domani esce il doc film su Malala, la ragazza pachistana premio Nobel per la Pace 2014, simbolo della lotta contro una cultura che relega le donne a poco più che oggetti
ROMA - In Italia esce domani, 5 novembre, ed è candidato all’Oscar ma la critica straniera non è entusiasta. Sarà perché, Malala – la ragazza pachistana che i talebani tentarono di uccidere nell’ottobre di tre anni fa – dopo l’autobiografia e le tante apparizioni sui media, dopo i grandi eventi alle Nazioni Unite e il premio Nobel per la Pace 2014, è ormai un volto noto in Occidente.
Documentario e animazioni
Una cosa è stata subito chiara: a Malala e a suo padre Ziauddin sono piaciute proprio le cose che per esempio il Guardian (ma anche i colleghi tedeschi) bocciano: cioè le animazioni che inframmezzano il documentario. «Quello che ho trovato emozionante – ha detto Malala nella conferenza stampa dopo la proiezione – sono state le animazioni perché illustravano la vita di mio padre e di mia madre, le difficoltà che avevano portato la mamma a lasciare gli studi, e poi la mia infanzia, il fatto che per me la scuola era come una seconda casa. Vedere tutte queste cose trasformate in cartoni animati è stato meraviglioso».
La madre di Malala
«Malala è la storia di un padre e di una figlia, una storia personale e universale», ha detto il regista Davis Guggenheim. Le scene più nuove, sono quelle in cui appare la madre di Malala, Torpekai. Ed è un peccato che Torpekai non ci fosse in conferenza stampa. Il suo nome significa «ragazza dai capelli neri», è una mamma non istruita né indipendente, che fino a poco tempo fa si copriva il volto con il velo e non restava mai nella stessa stanza con uomini estranei. Ora, in questo film, per la prima volta mostra la faccia, parla apertamente, e la si vede mentre va a scuola: è incredibile che certi critici non lo notino neppure.
Istigazione all'attivismo?
Nel film si suggerisce anche un certo senso di colpa del padre di Malala. Molti hanno processato e condannato Ziauddin, insegnante e intellettuale che parlava contro i talebani, per aver spinto la figlia all’attivismo. Nel documentario Ziauddin viene assolto. Ma Malala stessa sostiene che il padre le ha dato il nome di un’eroina afghana che guidò il suo popolo (Malalai), ma non l’ha resa tale: è stata lei a scegliere il suo destino.
Il sense of humor
In fine a colpire è il grande senso dell'umorisno di questa ragazzina. E’ lei a promettere che nel sequel censurerà le scene in cui i due fratelli minori la prendono in giro. E a far notare che in Pakistan a 18 anni avrebbe avuto già un marito e due figli, mentre oggi vivendo a Birmingham si ritrova a frequentare una scuola in cui «la maggior parte delle ragazze hanno un fidanzato o l’hanno lasciato» (lei no, ma si augura di incontrare il primo amore all’università). Il documentario Malala sembra mirato a un pubblico giovane. La speranza del regista è che apra gli occhi sui 66 milioni di bambine che al giorno d’oggi non vanno a scuola. Uno dei Paesi in cui vivono è proprio il Pakistan, ed è triste pensare che nel nord del Paese molti educatori non portino Malala ad esempio solo perché la giovane premio Nobel è diventata un simbolo dell’Occidente. «Alla fine dei miei studi lavorerò in Pakistan. Aiutare il mio Paese è stato il mio sogno per anni e anni; è la ragione per cui è iniziata la mia campagna. Ho visto il terrorismo, ho visto le scuole femminili chiuse. Perciò il viaggio è iniziato là e continuerà là».