19 aprile 2024
Aggiornato 23:00
In esclusiva su GQ di agosto

Le lettere inedite di Curzio Malaparte a Virginia Agnelli

Avrebbero dovuto sposarsi il 10 ottobre 1936, ma il Senatore Giovanni Agnelli, ex suocero di Virginia, proclamò: «questo matrimonio non s'ha da fare»

MILANO - Curzio Malaparte e Virginia Agnelli avrebbero dovuto sposarsi il 10 ottobre 1936, ma il Senatore Giovanni Agnelli - ex suocero di Virginia - proclamò: «questo matrimonio non s'ha da fare». E vinse.

Nel numero di GQ in edicola , il direttore Gabriele Romagnoli firma un articolo nel quale ricostruisce - avendo potuto leggere le lettere autografe di Curzio Malaparte - il naufragio di quella misteriosa storia d'amore.
Le missive coprono un particolare periodo storico: si va dal 15 ottobre 1936 (5 giorni dopo le mancate nozze) all'11 giugno del 1937. Otto mesi. Malaparte era da poco tornato dal confino di Lipari e collaborava furiosamente al Corriere della Sera. Virginia, nata Bourbon Del Monte,  aveva perso il marito in un bizzarro incidente con l'idrovolante, il 14 luglio del 1935. Lei e Malaparte si sono conosciuti poco dopo, su una spiaggia.
Un anno più tardi - consumato l'amore e non consumato il matrimonio, divisi dall'ostilità del Senatore Agnelli, Malaparte è al Forte o a Roma, Virginia a Torino, prigioniera in famiglia - comincia il carteggio. La data è «Forte, 15 ott. 1936»: «Virginia cara, sono triste, triste per te: ma pieno di coraggio, di fermezza, di decisione e pieno d'amore come non mai. L'ignobile prepotenza, la sudicia violenza di cui siamo vittime ambedue non deve toccarci, e non ci tocca. Ci fa soffrire, ma non diminuisce in nulla né le nostre ragioni, né la purezza dei nostri atti e del nostro cuore. Ti sono vicino come un fratello può essere vicino a una sorella, come un amante può esser vicino alla propria donna. Tu sei più che una sorella, più che un'amante. Sei Virginia, la donna alla quale ho ormai dedicato tutta la mia vita e alla quale sono pronto, se necessario, a sacrificare tutto me stesso, il mio ingegno, il mio sangue, la mia felicità».

Numerose le lettere che si susseguono fra i due amanti in questo periodo, alternate anche a missive destinate ai figli di Virgina, fra cui il futuro avvocato Gianni, fino ad arrivare a uno scritto di 22 pagine indirizzato direttamente al Senatore Agnelli in cui si legge fra l'altro: «Ella sa, caro Senatore, come tutti sanno, che io non ho nessuna paura né dei Suoi soprusi, né dei Suoi milioni. Ne ho dato prova anche recentemente, quando Ella ha tentato invano, e più volte, di intimidirmi o di corrompermi. »
Mesi di sentimenti altalenanti e frasi ora struggenti ora fredde e distaccate. Lo scrittore si rivela talora fragile e ingenuo. Altrove appare interessato e rancoroso. Quando viene a sapere che lei frequenta un altro uomo la maledice, poi se ne pente. Ma il finale si sta già scrivendo, sotto forma di telegramma, inviato da Virgina, il 30 giugno del '37: un telegramma gelido (probabilmente sotto dettatura), di cui GQ ha potuto vedere la minuta manoscritta. Questo: «Comunicole avvenuto completo accordo con la mia famiglia / ritornata con i miei figli / assoluto dovere dedicare loro tutta la mia esistenza per mia esclusiva volontà / decisa non pensare più che a loro / auguromi ardentemente possa anche lei non pensare ormai che al suo lavoro». Virginia morì in un incidente stradale il 30 novembre del 1945. Appena sedici giorni dopo morì il Senatore Agnelli, escluso dalla proprietà Fiat perché accusato di complicità con il fascismo. Curzio Malaparte aveva da poco pubblicato con successo internazionale Kaputt e stava per dare alle stampe La pelle. Ebbe ogni sorta di riconoscimento, perfino come regista. Appagò la propria sete di ammirazione. Visse fino al 1957. Le sue penultime parole furono: «Curzio Malaparte non è morto».