27 aprile 2024
Aggiornato 06:30
Cannabis legale

Il pm Padalino sorprende tutti: «Cannabis? Legalizziamola, abbiamo perso la battaglia»

Il sostituto procuratore a Torino ha parlato di droghe, spaccio e di un sistema che non permette di punire adeguatamente gli spacciatori

TORINO - «Legalizzare la cannabis». A proferire queste parole non è uno dei tanti comitati o associazioni a favore della legalizzazione, ma Andrea Padalino, sostituto procuratore a Torino. La battaglia per il contrasto della diffusione delle droghe leggere va avanti da tempo immemore, ma anche su questo aspetto Padalino sembra avere un’idea ben chiara: «Abbiamo perso, è stato un fallimento totale. Tanto varrebbe rinunciare a considerare la cannabis illegale».  Inutile nascondersi dietro un dito. 

Padalino: «Discorso che fa rabbrividire»
Parole forti, soprattutto considerato chi le ha pronunciate: Padalino ha infatti coordinato numerose operazioni antidroga, con ottimi risultati peraltro. D’altra parte, come fatto notare dal sostituto procuratore, anche sostanze lecite come tabacco e alcol creano danni enormi. «Mi rendo conto che è un discorso che fa rabbrividire» ha concluso. L’impegno delle forze dell’ordine per contrastare lo spaccio di cannabis è incredibile ma spesso non basta, tanto che anche il procuratore nazionale antimafia ha parlato di battaglia ormai persa.

Sempre più fermati per spaccio, la metà torna subito in libertà
I dati a Torino, di fatto, confermano queste affermazioni: nel 2014, gli arresti in flagranza per spazio sono stati 679, mentre nel 2016 ben 977. La metà dei fermati viene scarcerata immediatamente, perché il reato rientra tra quelli di breve entità. Una beffa per le forze dell’ordine. Anche perché il mondo dello spaccio si è adeguato: i pusher lavorano in gruppo, addosso hanno piccole dosi o addirittura non le hanno mai addosso e le nascondono per strada. Un modo «furbo» per uscire subito dopo il fermo. Ecco perché il colonnello Emanuele De Santis, comandante provinciale dei carabinieri a Torino, lancia l’allarme: «In tribunale non vengono percepite le nostre difficoltà».