2 maggio 2024
Aggiornato 09:00
Blitz dei Carabinieri

'Ndrangheta a Torino, il quartier generale in un bar insospettabile

Nel quartiere San Paolo. Capi dell'organizzazione i fratelli Crea. Gli indagati comunicavano tra di loro sia con i cosiddette «pizzini», che con puntualità venivano distrutti subito dopo essere stati letti dai destinatari, sia con smartphone di ultima generazione.

TORINO - L'attività d'indagine che ha portato nella notte a 20 arresti di presunti 'ndranghetisti tra Torino e Reggio Calabria, e denominata «Big bang», dal nome di uno dei locali gestiti dal sodalizio, si è sviluppata a partire dal giugno 2014. La Procura della Repubblica di Torino e i Carabinieri sono partiti dall'attività di traffico di stupefacenti organizzato dai fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea, inizialmente detenuti perché tratti in arresto l'8 giugno del 2011 nel corso dell'operazione «Minotauro».

Intercettate oltre 263mila telefonate
Gli indagati comunicavano tra di loro sia con i cosiddette «pizzini», che con puntualità venivano distrutti subito dopo essere stati letti dai destinatari, sia con smartphone di ultima generazione. Sono state intercettate oltre 263mila telefonate. In particolare, già dal carcere di Voghera e poi una volta tornati in libertà (nel mese di febbraio 2014 per Aldo Cosimo Crea e nel giugno 2015 per Adolfo Crea) i due fratelli, considerati espressione di vertice nel capoluogo piemontese della 'ndrangheta reggina, entrambi con il grado di «padrino», hanno aggregato pregiudicati già noti, parenti e nuovi giovani emergenti nel contesto criminale cittadino, avviando attività tipiche del controllo mafioso del territorio.

Il metodo delle estorsioni
Secondo le accuse, il gruppo familiare, intimidendo anche altri pregiudicati con la forza dell'appartenenza al sodalizio 'ndranghetista, ha sviluppato un consistente volume di attività nel traffico di stupefacenti, ma soprattutto nelle estorsioni sia direttamente a imprenditori, sia a vittime di usura, sia a soggetti indebitati nelle case da gioco gestite dal sodalizio. I proventi delle attività illecite venivano investiti nell'espansione del volume di affari delittuosi, ma anche per garantire agli affiliati un livello di vita idoneo a dimostrare a tutti il potere mafioso da loro raggiunto ed esercitato.

Cosa facevano alle vittime
Particolarmente pesanti sono risultate le modalità di minaccia delle vittime (una ventina quelle individuate, nessuna delle quali ha volontariamente inteso denunciare i fatti); in un caso, addirittura, è stata inviata ad un destinatario una testa mozzata di suino, con l'avviso che la «prossima sarebbe stata quella dell'estorto». Il gruppo criminale aveva inoltre disponibilità di armi ed è stata sequestrata, sempre nella fase delle precedenti indagini, una consistente quantità di stupefacenti, a dimostrazione della capacità operative del sodalizio.

Come si è svolta l'indagine
Nel corso delle precedenti attività investigative sono state arrestate 11 persone in flagranza di reato, sequestrati oltre 50 Kg di stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana) ed è stata individuata una piantagione di marijuana. Sono poi stati filmati per diversi mesi dai Carabinieri quotidiani incontri degli associati nel dehor di un bar ritenuto la base operativa del gruppo (tanto che gli stessi affiliati lo definivano «luogo di lavoro»); in quel bar del quartiere San Paolo (anch'esso oggetto di sequestro in data odierna) e nella prospiciente via Di Nanni, dove si svolge il frequentato mercato rionale, avvenivano in pieno giorno le consegne da parte degli indagati di denaro provento delle attività economiche controllate dal gruppo, ovvero consegne da parte delle vittime (giocatori d'azzardo, imprenditori, artigiani e negozianti, per un totale di almeno 20 unità) di denaro loro estorto.