19 marzo 2024
Aggiornato 03:00
Psicologia

Bugie, al cervello piacciono e impara anche in fretta come si dicono

Basta mentire una volta e il gioco è fatto. Il cervello impara subito come si bara e poi ci trova persino gusto, tanto che rende le persone recidive e, in alcuni casi, “serial bugiardi”

Bugie, più si dicono più se ne dicono
Bugie, più si dicono più se ne dicono Foto: Shutterstock

LONDRA – I ‘mentitori seriali’ sono giustificati: non è colpa loro, ma del cervello. Gli scienziati sostengono che quando si compie un’azione disonesta, poi si è più inclini a rifarlo in seguito. Questo perché il cervello è facile all’assuefazione, e se ci si comporta male le emozioni negative che dovrebbero manifestarsi, dopo un po’ divengono familiari. E così, al pari di una droga, si va in cerca di ‘dosi’ sempre maggiori di disonestà.

Bugie biologiche
Le bugie sarebbero dunque biologiche. Il che non significa che sono state coltivate senza l’uso di pesticidi, ma che dietro all’abitudine di barare o mentire c’è una regione del cervello che gestisce le emozioni: l’amigdala. Questo quanto scoperto dai ricercatoti del Dipartimento di psicologia sperimentale dell’University College of London (UCL), in collaborazione con la Fuqua School of Business alla Duke University, e poi riportato in uno studio pubblicato su Nature Neuroscience. Secondo gli scienziati, chi agisce in maniera disonesta una volta può facilmente ripetere questo suo comportamento in futuro, perché esiste un meccanismo cerebrale che nel tempo attutisce la sensazione (negativa) di comportarsi in modo sbagliato.

Questione di adattamento
Non c’è niente di strano in tutto ciò. Il processo di adattamento è naturale – o così dovrebbe essere. Se non esistesse, la vita e l’evoluzione dell’uomo sarebbero da tempo state compromesse. Questo processo di adattamento fa sì che in modo progressivo il cervello risponda nel tempo a determinati stimoli in modo adeguato. Gli stimoli possono essere diversi, e di natura sensoriale o emozionale. È un classico il percepire un suono o un odore la prima volta e poi, dopo un po’, non sentirlo più – anche se questo c’è ancora.

Ma ci si abitua anche a mentire
I ricercatori, per dimostrare come ci si abitua a mentire, hanno coinvolto un gruppo di 80 persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni. A questi è poi stato chiesto di indovinare il numero di monete contenute in un barattolo di vetro, per poi comunicarlo a un’altra persona attraverso un computer. Allo stesso tempo, gli autori dello studio avevano sviluppato cinque diversi scenari, che andavano ad agire sulla possibilità che i partecipanti mentissero. Le cinque situazioni comprendevano: comunicare un falso numero di monete per portare beneficio al partecipante arrecando un danno all’altra persona; ottenere beneficio senza costi per l’altra persona; dare beneficio all’altra persona arrecando un danno a se stessi, dare beneficio all’altra persona senza costi per il partecipante oppure beneficiarne entrambi.

I risultati
Durante e al termine dei test, i risultati hanno rivelato come via via che l’esperimento procedeva, i soggetti erano sempre più inclini a mentire, in particolare quando adottavano lo scenario in cui avrebbero ricavato un vantaggio per se stessi – e questo sia nel caso in cui la propria decisione avrebbe danneggiato il partner sia in caso contrario. Le analisi condotte dal dott. Neil Garrett e colleghi per mezzo della Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) hanno mostrato che si verificava una progressiva diminuzione di attività nell’amigdala, a mano a mano che i partecipanti mentivano. «E’ come se la risposta smorzata del cervello a ripetute azioni disoneste rifletta la reazione emotiva a queste azioni», conclude il dott. Garrett. Insomma, più si mente più si è disonesti, più lo si continua a fare.