20 aprile 2024
Aggiornato 12:30
Sicurezza

«Rischio aumento immigrati e infiltrazioni terroristiche»

Gli 007 italiani osservavano con preoccupazione gli scenari di crisi che già si profilavano nel Maghreb, al netto della crisi libica

ROMA - Al netto della crisi libica e prima che il presidente tunisino Ben Ali fosse deposto, gli 007 italiani osservavano con preoccupazione gli scenari di crisi che già si profilavano nel Maghreb, lanciando l'allarme per un preoccupante aumento dei flussi migratori e possibili infiltrazioni terroristiche nelle rivolte: è quello che emerge dalla relazione dei servizi di informazione, contenuta nella relazione consegnata dal Dis al Parlamento relativa al 2010.

Sul fronte dell'immigrazione clandestina, infatti, nella relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2010 si legge: «In prospettiva, con riferimento ai diversi scenari migratori clandestini e alle correlate dinamiche di illegalità e sfruttamento che interessano il nostro Paese, potranno far registrare un andamento crescente i flussi africani diretti verso l'Europa attraverso il Medio Oriente, l'Anatolia e i Balcani. Una nuova spinta migratoria potrebbe registrarsi in Maghreb, in relazione ad acuite condizioni di disagio socio-economico destinate a perdurare nei prossimi mesi». Nella stessa relazione si sottolinea: «Quanto al fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, il dispositivo di controllo adottato efficacemente lungo le coste maghrebine e nelle zone frontaliere libiche a seguito degli accordi bilaterali stipulati con i Pesi del Nord Africa, e soprattutto con la Libia, ha contribuito a ridurre sensibilmente gli sbarchi di clandestini in Sicilia , Calabria e Sardegna». Questo prima che in Libia, diga al flusso migratorio, si scatenasse la rivolta.

MaMa questo è solo un aspetto della medaglia: il nord Africa e in aggiunta l'Egitto erano già sotto attenzione dai servizi anche su un altro fronte, quello dei rischi di infiltrazioni terroristiche.

«La stabilità e la situazione di sicurezza dell'area nordafricana - si legge nella relazione degli 007 - sarà condizionata soprattutto dagli sviluppi dei processi di transizione avviati in Tunisia ed Egitto. La protesta tunisina, ancorchè alimentata dall'insofferenza di larghi strati della popolazione verso un'amministrazione accusata di essere illiberale e corrotta ha espresso un disagio socio economico diffuso e particolarmente avvertito all'intero quadrante, innescando o rivitalizzando istanze anti-governative in varie realtà dell'area nord africana e mediorientale, sino a deflagrare in un contesto, quale quello egiziano, particolarmente rilevante per la stabilità regionale e la pace in Medio Oriente. Nella Regione i fermenti sociali e le forti aspirazioni al cambiamento, amplificati e condivisi sul web, potrebbero far registrare nuovi picchi di contestazione, con tentativi di strumentalizzazione in chiave islamista ed inserimenti di natura terroristica».

La relazione si riferisce al 2010. A metà dicembre i primi scontri in Tunisia, il 14 gennaio 2011 dopo quattro settimane di rivolte e sommosse senza precedenti, il deposto presidente Ben Ali lascia il Paese. A macchia di leopardo esplode la rivolta. A metà gennaio l'Egitto, l'11 febbraio Mubarak lascia il potere. Sommosse in Bahrein, Gibuti e Algeria. Ma la crisi più grave che ora si inserisce nello scenario già preoccupante analizzato dal Dis, è quella libica. Il 16 febbraio i primi scontri a Bengasi tra manifestanti e polizia, culminata in questi giorni con i bombardamenti contro i rivoltosi a Tripoli, mentre Gheddafi tuona: «Manifestanti drogati e aizzati da al Qaida».

Al di là del proclama di Gheddafi, alcuni governi occidentali, in primis quello italiano con il ministro dell'Interno Roberto Maroni, temono ora infiltrazioni terroristiche islamiste, che strumentalizzino le rivolte, creando nuovi trampolini di lancio dei jihadisti verso l'Occidente.

Il ministro dell'Interno Maroni a Bruxelles ha chiesto: «Se Al Quaida espande la sua autorità su quei territori? Io ho posto la questione: bisogna evitare che, caduti questi regimi, siano sostituiti da regimi peggiori». Bisogna, insomma, «evitare che la Libia si trasformi in nuovo Afghanistan a due passi da noi». Sul rischio di infiltrazioni di Al Quaida nella rivolta libica, la commissione Ue non concorda con il ministro Maroni.

La preoccupazione attuale di un nuovo fronte, sembra gettare fuoco sui rischi che, prima della crisi libica, apparivano negli scenari dei servizi italiani, che nella relazione 2010 avvertono: «L'Europa appare sempre più esposta al terrorismo di matrice jihadista, sia come retrovia logistico/finanziario e serbatoio di reclutamento, sia come potenziale teatro di pianificazioni offensive contro obiettivi istituzionali e simbolici, luoghi pubblici e personaggi accusati di essere nemici dell'islam o traditori». E in particolare per l'Italia la relazione dei servizi ricorda che è «tuttora annoverata nella pubblicistica di settore sul web tra i nemici dell'islam sul piano sia religioso, sia politico-militare, pecie per il suo impegno in Afghanistan». E «continua ad emergere il coinvolgimento del nostro Paese come snodo di transito di estremisti che le reti terroristiche attive nei teatri di crisi intendono infiltrare in Europa; retrovia logistico, vista la possibilità di procacciarsi mezzi/contatti utili, specie nel sottobosco campano ; potenziale trampolino - se non obiettivo - per pianificazioni terroristiche originate all'estero». Anche se «un'incognita particolarmente insidiosa» secondo i servizi sono «i potenziali self starters», ovvero persone anche nate in Italia o stanziati da tempo e apparentemente integrati, come l'aspirante kamikaze che agì ad ottobre 2009, contro la caserma dell'esercito Santa Barbara di Milano. «Soggetti la cui imprevedibile attivazione, al culmine di percorsi solitari e «invisibili di radicalizzazione, costituisce una crescente sfida per l'intelligence».