12 ottobre 2025
Aggiornato 09:30
Editoriale

Chi ha ucciso Michele Sindona?

La frase di Andreotti su Ambrosoli riapre molti interrogativi irrisolti

Può una sola frase riaprire le pagine di un pezzo della storia d’Italia passato nel dimenticatoio?
Può riportare alla luce bubboni che pensavamo sepolti per sempre?
Sì, una frase può squarciare quel buio al quale troppo comodamente ci eravamo assuefatti.
Può riuscirci anche se pronunciata in romanesco e se chi l’ha pronunciata asserisce di essere stato frainteso.
Intanto fa meraviglia sentire un Andreotti che corregge il tiro su quanto è stato scritto su di lui.
E’ un fatto raro.
L’uomo politico dipinto dai suoi avversari come Belzebù e dai suoi estimatori come un grande statista che ha consentito all’Italia di uscire dalla morsa del sottosviluppo e dai pericoli di finire, nel corso della guerra fredda nella parte sbagliata, è stato un convinto ideologo che le smentite a mezzo stampa sono solo un mezzo per ridare fiato alla notizia che si vuole confutare.
Invece in questo caso Andreotti, per rimediare, ha detto due cose e tutte e due sbagliate.
La prima riguarda il vernacolo romanesco: nella frase «se l’è cercata» c’è ben poco del linguaggio che fa capo al Belli. Ma anche se fosse stata pronunciata nell’idioma dei borgatari, cioè se Andreotti avesse detto: «se l’è annata a cercà» il significato sarebbe rimasto intatto.
La seconda pezza che Andreotti ha voluto mettere pecca della stessa incoerenza della prima. «Sono stato frainteso», ha detto il senatore a vita. Ma cosa c’è da fraintendere in una frase dal significato così chiaro come «se l’è cercata»? Per di più pronunciata in un video.
Volendosi correggere l’ex leader democristiano avrebbe potuto perlomeno suggerire qualche frase di circostanza in difesa di un galantuomo come Ambrosoli e una qualche giudizio di condanna nei confronti di un uomo come Sindona che soprattutto nella parte finale della sua vicenda, a partire dal finto rapimento a New York e al finto attentato con tanto di gambizzazione autoprodotta, ha scoperto platealmente tutti i legami che aveva con le potenti famiglie mafiose palermitane e italo americane.
Ma soprattutto Andreotti, dovendo andare con la memoria a certi ricordi, soprattutto in questo caso avrebbe dovuto rispolverare quella prudenza curiale che gli italiani gli hanno riconosciuto per decenni.
E invece il senatore, ritenendosi forse fuori tempo massimo, ha usato parole imprudenti per vicende che sono lontane, ma non risolte.
Stabilito infatti che sia stato Michele Sindona il mandante dell’omicidio di Ambrosoli (fu condannato all’ergastolo per questo) chi ha ucciso a sua volta Sindona guardato a vista venti quattro ore su venti quattro ore nel carcere di Voghera dove era imprigionato? Chi è riuscito ad infilare il veleno nel suo caffè per procurare una morte che nelle modalità ripercorse, dentro le sbarre dell’Ucciardone, la fine di Gaspare Picciotta, un altro che si è portato involontariamente nella tomba altri scomodi segreti? Per conto di chi ha agito quel veleno? Per coprire chi?
Non è l’unico mistero della recente storia d’Italia.
Chi ha ucciso Sindona forse è ancora in circolazione. Come forse è ancora in mezzo a noi chi ha ucciso il giornalista Pecorelli. Forse è ancora capace di fare del male anche chi ha ucciso Roberto Calvi sotto un ponte di Londra.
Purtroppo non è la trama di un giallo di Agatha Christy.
Purtroppo è cronaca italiana. Troppo recente per sopportare refusi o fraintendimenti.