23 agosto 2025
Aggiornato 11:00
L’anniversario della morte di Bettino Craxi

Craxi e la fine della Prima Repubblica

Dietro la caduta di Dc e Psi non ci fu solo il finanziamento illecito ai partiti

L’anniversario della morte di Bettino Craxi, oltre ai riconoscimenti, alle riabilitazioni e alle polemiche che sta suscitando, ha aperto anche un nuovo capitolo sul processo Enimont che vide protagonista, come pubblico ministero Antonio Di Pietro e come imputata la Prima Repubblica.
Sul banco degli accusati, come molti ricorderanno sfilarono, in sedute di grande tensione e impatto mediatico (vennero diffuse in diretta televisiva) i grandi della politica italiana del momento, da Bettino Craxi ad Arnaldo Forlani.
Al termine di quel processo, l’immagine ormai fa parte della storia d’Italia, il pubblico ministero, ossia Antonio Di Pietro, si levò pubblicamente la toga e annunciò che avrebbe abbandonato la magistratura.
A ripensarci oggi alla simbologia di quel gesto, per completezza, è mancato solo che Di Pietro aggiungesse: «quello che dovevo fare l’ho fatto, ora tocca a voi».

E nessuno può dimenticare che, come trascinati da una valanga, poco tempo dopo furono spazzati via due partiti, la Democrazia Cristiana e il partito Socialista, che avevano governato l’Italia per alcuni decenni e che solo pochi mesi prima di quei tragici avvenimenti erano all’apice del potere e apparivano intoccabili.
In questi giorni gli avversari dell’ex pubblico ministero di «mani Puliti» hanno fatto uscire la voce che Di Pietro, quando ancora indossava la toga, avesse avuto contatti con la Cia, insinuando il sospetto che dietro il processo che ha dato l’avvio alla caduta della prima Repubblica ci fossero gli americani.
Le reazioni a queste insinuazioni sono state le più disparate. Molte sono state di incredulità (anche da parte di chi non ama il leader dell’Italia dei Valori). Altre hanno lasciato intendere che sarebbe sbagliato escludere questa ipotesi a priori. Da parte di Pietro sono state respinte con sdegno accompagnato ad ironia.
Nessuno si è posto invece questo problema: perché gli americani a avrebbero avuto interesse a spazzare via una classe dirigente di un paese alleato che fino ad allora era riuscita, compromessi o non compromessi, nel non facile compito di contenere l’espansione del comunismo?
Gli americani non potevano inoltre non sapere che dell’uscita di scena di Dc e Psi inevitabilmente se ne sarebbero giovati i comunisti italiani, più o meno camuffati dietro le nuove sigle. Cosa che infatti non avvenne solo per l’inaspettata discesa in campo di Silvio Berlusconi.
E’la logica a dirci a chiare lettere che è molto improbabile, se non impossibile, che dietro «mani pulite» ci fosse la Cia.

Quindi la valanga che ha travolto la Prima Repubblica è da archiviare come frutto puro e semplice delle circostanze? Dobbiamo rassegnarci a respingere ogni dietrologia e a scartare qualsiasi ipotesi che dietro le quinte ci fosse qualche manina maliziosa a condurre il maremoto sugli obiettivi desiderati?
Ecco su questa seconda ipotesi è lecito dubitare. Non solo per la portata enorme, dai risvolti internazionali, storica, di quegli avvenimenti. Il dubbio, oltre che sulle sensazioni, alberga anche su alcuni dati oggettivi e su uno in particolare: la situazione finanziaria dell’Italia.
Da ministro del Tesoro, in una occasione pubblica, Carlo Azeglio Ciampi rese noto, molti anni più tardi, che nel luglio del 1992 non si sapeva se a fine mese le casse pubbliche sarebbero state in grado di pagare gli stipendi agli italiani. Quindi, secondo l’affermazione di Ciampi, nei mesi che precedettero la valanga, l’Italia era stata sul punto di dichiarare fallimento. Tanto che chi ha buona memoria non può dimenticare che fece molto scalpore, in quello stesso periodo, l’insolvenza dell’Efim, uno dei grandi enti pubblici dell’epoca, che non riuscì a far fronte al pagamento di due rate di un debito internazionale.
C’era la possibilità, con un capovolgimento politico ordinario (c’è chi sostiene democratico) di fermare la voragine della finanza pubblica italiana e di bloccare quella elargizione e spreco di denaro pubblico che erano il fondamento del voto di scambio, ma anche la spirale che aveva fatto salire (con l’avallo dei sindacati e l’inciucio con i comunisti) il debito pubblico alle stelle? Con la forza elettorale che fino ad allora avevano in mano Dc e Psi era del tutto da escludere.
Ma all’esito di quel processo conosciuto come «mani pulite» erano certamente più interessate le banche e il sistema finanziario europeo che la Cia.