3 ottobre 2025
Aggiornato 10:30
Immigrazione

Ma le Acli per chi giocano?

ADUC: «Al centro l'essere umano e poi il resto!»

FIRENZE - La presenza di persone immigrate nel territorio italiano (e non solo) è una questione molto importante e delicata, perché su di essa si devono fondare le politiche di organizzazione e sopravvivenza del genere umano. E per questo restiamo stupiti di quanto le Acli hanno detto in merito.

Si tratta di un'associazione radicata e presente in materia, in modo fattivo e costruttivo, con proposte condivisibili come l'introduzione dello 'ius soli' (cittadinanza che si acquisisce per il solo fatto di essere nati in Italia), il dimezzamento dei tempi di residenza per la concessione della cittadinanza (da 10 a 5 anni) e il diritto di cittadinanza per i minori che, non nati in Italia, vi hanno comunque compiuto un ciclo completo di studi.

Ma restiamo basiti quando il presidente nazionale, Andrea Oliviero, in un'intervista fa sapere che il discrimine per la cittadinanza deve essere «parlare la lingua italiana, conoscere la cultura e le norme del nostro Paese, avere un reddito da lavoro e una residenza». Vada per la residenza, ma se così fosse per il resto, crediamo -senza esagerare- che almeno un terzo della popolazione italiana dovrebbe essere privata della cittadinanza. Una battuta? Sì, ma potrebbe diventare realtà nel momento in cui si introducessero questi discrimini, visto che costituzionalmente tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.

Noi abbiamo maturato esperienza col servizio di informazione e consulenza che eroghiamo agli immigrati già da anni, e crediamo che davanti a noi abbiamo esseri umani che ci chiedono aiuto e, così come abbiamo fatto noi italiani soprattutto nel secolo scorso, non possiamo imporre loro ciò che non viene imposto a chi è già italiano, ma dobbiamo solo offrirgli l'opportunità di convivere su questo territorio nel rispetto delle regole che ci diamo.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc