20 aprile 2024
Aggiornato 00:00
I risultati sono stati pubblicati nella rivista New England Journal of Medicine

Alpinisti: registrato il livello di ossigeno nel sangue più basso in assoluto

Per la prima volta è stato possibile misurare i livelli di ossigeno nel sangue degli scalatori in prossimità della vetta del Monte Everest

Per la prima volta è stato possibile misurare i livelli di ossigeno nel sangue degli scalatori in prossimità della vetta del Monte Everest. L'operazione è stata portata a termine da una spedizione guidata da medici dell'University College di Londra, in Gran Bretagna, e i risultati sono stati recentemente pubblicati nella rivista New England Journal of Medicine.

Il solo nome del Monte Everest evoca un timore riverenziale e gli alpinisti prenotano con anni d'anticipo per avere il privilegio di raggiungerne la vetta. Un gruppo di medici dell'University College di Londra è ora riuscito a creare una base sui suoi pendii allo scopo di condurre ricerche scientifiche sugli effetti delle condizioni estreme che caratterizzano queste altitudini sull'organismo umano. I risultati saranno utili sia agli scalatori che alle persone affette da alcune patologie, tra le quali la sindrome da stress respiratorio acuto (ARDS) o la metaemoglobinemia (nota anche come «Blue baby syndrome«).

Il team del progetto Caudwell Xtreme Everest era costituito anche da medici con grande esperienza nell'alpinismo: i medici hanno raggiunto quota 8.400 metri sopra il livello del mare e, una volta vicini alla vetta, hanno eseguito gli esami del sangue prelevato dalle arterie della gamba. I ricercatori, in pratica, sono riusciti a confermare quanto era da lungo tempo stato ipotizzato: gli alpinisti d'alta quota presentano livelli di ossigeno nel sangue incredibilmente bassi che, ad altitudini pari al livello del mare, sono osservabili esclusivamente in pazienti prossimi alla morte.

I componenti del team hanno affrontato la salita indossando maschere per l'ossigeno che hanno tolto venti minuti prima di eseguire l'esame, in modo che i polmoni si abituassero all'atmosfera particolarmente povera d'ossigeno. Le temperature che raggiungevano i -25°C, insieme ai venti che soffiavano attorno ai 20 nodi, hanno reso impossibile condurre l'esperimento in vetta e il team è stato costretto (come misura precauzionale) a scendere ad un'altitudine inferiore, comunque vicina alla vetta.

Una volta raggiunta la nuova destinazione, i medici si sono tolti i guanti, hanno aperto la parte inferiore della propria tuta e hanno prelevato il sangue dall'arteria femorale dell'inguine. Il sangue prelevato da quattro membri del team è poi stato trasportato a una quota inferiore ed analizzato entro due ore dal prelievo in un laboratorio scientifico costruito nel campo base a quota 6.400 metri.

Nell'uomo il livello di ossigeno nelle arterie presenta in media un valore compreso tra i 12 e i 14 chilopascal, mentre i pazienti che presentano un valore pari a 8 chilopascal sono considerati pazienti in condizioni critiche. I campioni prelevati dal team presentavano livelli medi pari a 3,28 chilopascal, con il valore più basso pari a 2,55 chilopascal. Gli scienziati ritengono che i bassi livelli di ossigeno rilevati (considerevolmente inferiori alle aspettative) possano essere in parte causati dall'accumulo di fluido nei polmoni dovuto all'altidunine elevata.

La spedizione è stata guidata dal dott. Mike Grocott, professore di medicina di terapia intensiva, che ha commentato: «L'osservazione di individui sani ad altitudini elevate caratterizzate da scarsità di ossigeno, è utile per apprendere quali variazioni fisiologiche possono migliorare la terapia nei reparti ospedalieri, considerato che i livelli di ossigeno bassi costituiscono un problema molto diffuso in terapia intensiva. Questi livelli di ossigeno straordinariamente bassi rilevati negli alpinisti di alta quota, possono indurre i medici che si occupano di patologie gravi a riconsiderare gli obiettivi delle cure a cui vengono sottoposti i pazienti che hanno superato una malattia e che potrebbero essersi adeguati ai bassi livelli di ossigeno nel loro sangue.»

È tuttavia necessario essere prudenti nell'interpretazione dei risultati dello studio. Il dott. Grocott afferma: «I risultati ottenuti saranno oggetto di un'attenta analisi prima di trovare applicazione nella pratica clinica». «Speriamo che questa ricerca possa alla fine condurre allo sviluppo di migliori cure per i pazienti affetti da sindrome respiratoria acuta, fibrosi cistica, enfisema, shock settico, metaemoglobinemia e altre patologie gravi.»

Per ulteriori informazioni, visitare:

Team di Caudwell Xtreme Everest:
http://www.xtreme-everest.co.uk

New England Journal of Medicine (NEJM):
http://content.nejm.org/