28 marzo 2024
Aggiornato 21:30
Il personaggio

Argemì: «Il Friuli va rispettato per quello che è: un popolo, una lingua, un'identità»

Il protagonista del movimento per la difesa dei popoli senza stato e delle minoranze ha aggiunto: «A noi catalani l’autonomia è stata negata, è stato un insuccesso e il popolo ha chiesto l’indipendenza». Giudicati positive le esperienza 'autonomistiche' di Veneto e Lombardia

UDINE - «La nostra è una lotta di democrazia per l’Europa, per il rispetto dei diritti umani individuali e collettivi per dare valore alla visione dell’Europa dei popoli e non degli Stati». Aureli Argemì, catalano, protagonista del movimento per la difesa dei popoli senza stato e delle minoranze, ospite della Provincia di Udine e del Gruppo Studi Storici e Sociali 'Historia' di Pordenone, ha portato la sua testimonianza sulla situazione che la Catalogna sta attraversando in questi giorni e confrontato la storia del suo Paese con la spinta autonomista di Veneto e Lombardia. «Il principio è comune ma le esperienze sono differenti. A noi catalani l’autonomia è stata negata, è stato un insuccesso e il popolo ha chiesto l’indipendenza. Positivi i due referendum che chiedono più autonomia e più rispetto per la propria personalità collettiva» ha detto Argemì. Quanto alla situazione del Friuli, «è un popolo dell’Europa deve essere rispettato per quello che è. Non deve diventare un nuovo Stato ma essere più considerato per la sua lingua, la sua cultura, la sua identità». 

La questione catalana vista dagli occhi di Argemì
Tornando alla questione catalana, «abbiamo fatto una scelta per il nostro futuro e per quello dell’Europa perché la questione catalana investe l’Europa la cui difesa dei popoli è di facciata; l’interesse vero è quello di difendere un’Europa divisa tra Stati». Il punto di forza della Catalogna è l’alta e pacifica partecipazione popolare. «Se nel 2010 quando la Corte costituzionale ha bocciato lo statuto di autonomia gli indipendentisti erano il 12-15% - ha spiegato Argemi -, ora il movimento raccoglie l’80% delle adesioni e ha portato oltre 2 milioni di persone al voto malgrado la resistenza posta dal Governo spagnolo. Io e mia moglie abbiamo presidiato una scuola per proteggere chi voleva votare, facendo muro contro la polizia. Questo non si vede in Europa oggi: si è visto nell’epoca del fascismo e del franchismo. Stiamo tornando a quel periodo che ho vissuto quando sono scappato in Italia perché accompagnavo una persona che difendeva le libertà di espressione, riunione, diritti che oggi, nuovamente, vengono negati. E’ la prima volta, dalla morte di Franco, in cui ci sono prigionieri politici». E la prigione senza processo è il pericolo che correrà il presidente del Governo catalano quando venerdì in Senato proclamerà l’indipendenza della Catalogna. «Speravamo in un dialogo tant’è che era stata sospesa la dichiarazione ma l’apertura non c’è stata. Con il governatore in carcere avremo un argomento in più per essere ascoltati: non ci aspettiamo una risposta dall’Europa ma dall’Onu, dagli Stati del mondo perché il nostro riferimento sarà il diritto internazionale». Forte delusione dunque da parte dell’Europa «perché benché si stia muovendo qualcosa a livello informale, all’esterno sono tutti compatti con Rajoy». «Il periodo è difficile anche per l’immagine negativa della Catalogna percepita all’esterno a causa di un’informazione a senso unico, non plurale, che privilegia la posizione governativa al contraddittorio», ha concluso Argemì. 

Il commento di Fontanini
Gli scenari della Catalogna non hanno influenzato il voto di domenica. «Un voto importante – ha ribadito il presidente Fontanini manifestando solidarietà al popolo catalano – per una richiesta di maggiore autonomia nell’ambito della Costituzione. In Italia si sta riaprendo un percorso di autonomia e la popolazione ha dato sostanza a questa volontà. Anche se la nostra Regione è a statuto speciale non abbiamo grande autonomia. Sappiamo però che il 4 dicembre 2016 la stragrande maggioranza dei cittadini ha detto 'no' a una riforma orientata al centralismo, che voleva bloccare le autonomie, togliere competenze alle regioni. I cittadini hanno difeso l’autonomia regionale e anche le Province».  «Se Veneto e Lombardia avanzano su questo piano – gli ha fatto eco il prof. Guglielmo Cevolin – , il Fvg, con la chiusura delle Province, fa un passo indietro: c’è un progressivo accentramento di funzioni in capo alla Regione che detiene competenze legislative e amministrative. Vengono meno enti territoriali come le Province fondamentali per la crescita e lo sviluppo del territorio».