Pedro Sanchez si aggrappa alle nuove elezioni
Oltre al Psoe, sempre che i sondaggi riflettano accuratamente la realtà, a guadagnare dal ritorno alle urne sarà solo il Partito Popolare
Oltre al Psoe, sempre che i sondaggi riflettano accuratamente la realtà, a guadagnare dal ritorno alle urne sarà solo il Partito Popolare
Il nuovo presidente del Partito popolare ha appena 37 anni, e posizioni politiche molto più conservatrici del suo predecessore Rajoy, simili a quelle della Lega
Il risultato delle elezioni regionali spagnole potrebbe aiutare a sbloccare l'impasse istituzionale in cui versa il Paese da tempo. E arricchisce la lista di fallimenti delle sinistre europee
Primo voto il 31, da allora l'ex Premier spagnolo avrà due mesi di tempo per formare un nuovo esecutivo pena il terzo ritorno alle urne nel giro di un anno - che cadrebbe fra l'altro il 25 dicembre. Da domani il Pp e C's inizieranno le trattative sulle sei condizioni poste dal partito di Albert Rivera.
Nessun verdetto netto, le elezioni spagnole atto secondo somigliano drammaticamente al primo: il Partido Popular del premier uscente Mariano Rajoy si conferma prima forza, ma è sempre lontanissimo dalla maggioranza assoluta
Dopo la bocciatura del socialista Pedro Sanchez e con meno di due mesi di tempo per la formazione di un nuovo esecutivo, il monarca spagnolo Felipe VI ha deciso di rinunciare «per il momento» a un nuovo giro di consultazioni.
Il premier uscente, Mariano Rajoy, reclama il diritto di formare un governo, ma attualmente non ha alcun partner e la sua carta migliore sarebbe una «grande coalizione» con il partito socialista, in cambio di concessioni non è chiaro quanto generose e sincere in materia di riforme costituzionali.
All'ultimo minuto. Quando tutto sembrava perduto, con la Catalogna ormai destinata alla convocazione di nuove elezioni anticipate per il prossimo 6 marzo, Artur Mas ha deciso di fare un passo indietro per favorire la formazione di un nuovo governo regionale.
Se sull'intesa con i popolari, rifiutata esplicitamente ieri, il PSOE rimane compatto, non lo è altrettanto sull'opportunità di chiudere o aprire le porte a Podemos
Il leader dei socialisti spagnoli Pedro Sanchez ha detto che non sosterrà un eventuale nuovo governo guidato dal conservatore Mariano Rajoy, primo ministro uscente
Nella serata di ieri il capo del governo spagnolo uscente Mariano Rajoy ha offerto il dialogo ai partiti pronti a difendere l'unità della Spagna e il suo posto in Europa in vista della formazione di un governo
Dopo il voto di ieri, e il «niet» di socialisti e Podemos a un nuovo esecutivo guidato da Mariano Rajoy, nella difficile partita a scacchi spagnola si aprono tre scenari.
Dopo il voto di ieri, il futuro politico spagnolo è un'incognita a numerose variabili e con una, minima, certezza. Sia come sia, il premier uscente Mariano Rajoy non potrà vedersi riconfermato alla testa del governo
Per il leader popolare spagnolo Mariano Rajoy si chiudono le porte di un possibile ritorno alla guida del governo. Il Partito socialista spagnolo (Psoe) ha confermato che voterà no a un eventuale nuovo governo guidato dal premier uscente il popolare Mariano Rajoy. Sulla stessa linea Podemos
Come accaduto una settimana fa per la Francia, anche nel caso spagnolo è molto difficile capire chi ha vinto e chi ha perso davvero. Le percentuali non bastano per interpretare il risultato: perché anche in Spagna i veri sconfitti sono i partiti tradizionali, sempre più incalzati dal temutissimo Podemos
La Spagna stamattina si è svegliata più vicina all'Italia: con un parlamento senza una maggioranza chiara e la prospettiva di settimane di estenuanti trattative per trovare compromessi tra forze diverse e varare un governo
Un governo di coalizione, soluzione inedita finora nella Spagna postfranchista, oppure nuove elezioni in primavera. Questo è il risultato cui ha portato il voto di ieri che ha visto il Partito popolare del premier Mariano Rajoy arrivare in testa ma senza maggioranza assoluta
Il conservatore Partido Popular conferma i sondaggi e conquista 123 seggi, ben lontano dal numero magico di 176 che gli consentirebbe di governare da solo; i socialisti si fermano a quota 90, mentre gli emergenti Podemos e Ciudadanos rimangono rispettivamente a 69 e 40.
La stima dell'affluenza parla di un possibile 80%, un dato che di fatto rende poco affidabili i sondaggi, peraltro assai contraddittori ma che concordano nel confermare che nessun partito si avvciinerà neanche lontanamente alla maggioranza assoluta inaugurando così dopo quarant'anni di democrazia, l'era degli esecutivi di coalizione.
La formazione di Albert Rivera incarna la «nuova» destra ed è l'unica formazione quasi sicura di far parte di una coalizione di governo (seppure non necessariamente come socio dell'esecutivo).
Il partito di Pablo Iglesias potrebbe trovarsi a dover fare i conti con la realtà di governo, seppure con una differenza che tutto sommato potrebbe giocare a suo favore: non potrà formare un esecutivo di maggioranza, ma potrà essere parte di un esecutivo di coalizione magari insieme ai «rivali» del PSOE.
Nato dieci anni fa a Barcellona con l'obbiettivo di contrastare il nazionalismo catalano, ovvero di proporsi come alternativa autoctona al conservatore Partido Popular, Ciiutadans (C's), il partito guidato da Albert Rivera, si trova ad essere oggi l'ago della bilancia nelle elezioni politiche del 20 dicembre.
L'attenzione degli analisti è su quali alleanze potrebbero dar luogo ad un esecutivo di coalizione sufficientemente stabile, in vista di una legislatura in cui i problemi (austerity e crisi catalana in primis) non mancheranno di certo.
Il voto regionale ha dato agli indipendentisti di Junts pel Sì la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento, maggioranza assoluta se si sommano i deputati dell'altro movimento favorevole alla secessione, la Cup.
Dopo la sconfitta alle amministrative spagnole dello scorso maggio, il conservatore Partido Popular risale nei sondaggi, confermandosi la prima forza davanti ai socialisti del Psoe mentre calano i partiti populisti di Podemos e Ciudadanos
Dopo le amministrative che hanno sancito la vittoria di Podemos e Ciudadanos, la maratona elettorale spagnola, prima dell'ultimo appuntamento delle politiche, prevede la chiamata alle urne della Catalogna del 27 settembre
La crisi economica del 2008 ha favorito lo scoppiare di un'altra crisi. Pablo Iglesias, leader di Podemos, la definisce di «egemonia», facendo riferimento alla perdita di fiducia nei partiti tradizionali che ha favorito il sorgere di nuove forze di rottura: i famigerati «populisti». Saranno loro a salvare l'Europa (o salvarci dall'Europa)?
Partitismo e status quo i grandi sconfitti delle amministrative spagnole: a rivoluzionare lo scacchiere politico, la «rottamazione» di Ciudadanos e, soprattutto, il «populismo» di sinistra di Podemos. Un vento di cambiamento e ribellione che soffia in tutta Europa, facendo traballare l'Unione
Il conservatore Partido Popular perde la maggioranza assoluta in tutte le regioni in cui governava in solitario, mentre i socialisti del Psoe limitano i danni ma non ottengono il sorpasso: tra tutti e due i maggiori partiti guadagnano poco più del 50% dei voti mentre le nuove alternative, Podemos e Ciudadanos confermano di essere forze con cui dover fare i conti.
La perdita di consensi dei due principali partiti, il conservatore Pp e i socialisti del Psoe, e l'ascesa delle alternative populiste a destra e a sinistra (rispettivamente Ciudadanos e Podemos) lascia gli elettori nell'incertezza: i sondaggi sono assai volatili e la percentuale degli indecisi si aggira fra il 30% e il 45% dei votanti.
Più di cinque milioni di catalani sono chiamati oggi alle urne per rinnovare il loro parlamento regionale nelle elezioni più importanti della storia di questa comunità autonoma dalla caduta del franchismo. I catalani vogliono un referendum per l'indipendenza, ma Madrid dice che è illegale
Con la morte di Manuel Fraga Iribarne scompare uno degli ultimi anelli di collegamento fra la dittatura del generale Francisco Franco e la moderna monarchia costituzionale. Ministro sotto la Dittatura, fondò Alianza Popular, l'attuale Partido Popular da pochi mesi di nuovo al governo
Dopo due sconfitte dolorose nel 200 e nel 2004, Mariano Rajoy ha portato la destra spagnola alla vittoria più spettacolare dal ritorno della democrazia. Quasi dimezzati i voti socialisti, trionfa pure il partito basco Amaiur
Si chiude l'era Zapatero. Al voto in 36 milioni fino alle 20
Ma il leader del Pp avverte: Le cose non cambieranno in un giorno
Ma il leader del PP avverte: «Le cose non cambieranno in un giorno. Il voto di domani dovrà segnare la fine di un governo (quello socialista, ndr) che non ha saputo rispondere ai bisogni della nazione»
Nessuna speranza di un terzo mandato socialista affossato da un quadriennio di crisi economica gestito non troppo brillantemente e i cui effetti peggiori si sono avuti proprio nell'ultimo anno di José Luis Rodriguez Zapatero
Già in agosto si erano registrate 143 nozze gay rispetto alle 110 dello stesso mese del 2010. I Conservatori del PP potrebbero abrogare la legge voluta da Zapatero nel 2005, anche se sul tema il leader Rajoy è rimasto ambiguo
Il candidato Premier conservatore spagnolo a El Pais: «Conta far rispettare le leggi, non cambiarle. Aiuti e lavoro, così guarirò il paese». PP superfavorito ma senza smalto, PSOE in crisi
La formazione guidata da Mariano Rajoy, secondo un sondaggio pubblicato da El Pais, otterrebbe il 45,4 per cento dei voti. Il Psoe si avvia alla peggiore sconfitta dal 1978. Intanto circa un migliaio di «indignados» hanno manifestato oggi a Madrid
Questa l'opinione unanime della stampa spagnola per il primo e unico dibattito televisivo dei due candidati. Con quindici punti di svantaggio da recuperare a meno di due settimane dal voto Rubalcaba non ha certo molte speranze di conquistare per il Psoe il terzo mandato consecutivo e di rovinare il sogno di Rajoy
Da mesi ormai il verdetto dei sondaggi non fa che confermare una netta maggioranza, con uno scarto addirittura storico in favore del Partito popolare, che oggi vanta 17 punti percentuali di differenza
Le elezioni politiche spagnole del prossimo 20 novembre sono dominate dalla crisi economica e dalla disoccupazione che colpisce ormai cinque milioni di persone. A contendersi la poltrona di presidente del governo saranno il conservatore Mariano Rajoy e il socialista Alfredo Perez Rubalcaba
Il leader e candidato premier del Pp, Mariano Rajoy, non ha al momento adottato una posizione chiara. Intanto gli indipendentisti catalani presentano un candidato centenario
Montoro (ministro delle Finanze in pectore): «Se vinciamo fermiamo tutto». Intanto la Salgado smentisce l'ipotesi di un aumento del fondo UE salva Stati