29 marzo 2024
Aggiornato 08:30
L'evento

Goran Bregovic: «Che bello essere a Trieste!»

Dicono che l'artista sia arrivato alla frutta, l’impressione personale non è stata certo questa

TRIESTE - «Che bello (pronuncia con una sola L) essere a Trieste!» Vabbè lo dicono tutti, un convenevole quasi d’obbligo. E la piazza più bella del mondo, e si mangia bene, e c’è il mare, e il castello, e la cultura. Ok, certo. Ma a Goran Bregovic da Sarajevo, oggi Bosnia - ieri Yugoslavia, vogliamo crederci molto di più. Perché non può che essere così. Deve essere così. Ore ventuno: maestosa prova di acustica del Politeama Rossetti che accoglie uno ad uno i fiatisti della straordinaria orchestra per matrimoni e funerali di signor Bregovic, che un attimo dopo appare sul palco di bianco vestito a presentare il nuovo disco. Tre lettere da Sarajevo, capitale morale e culturale della penisola balcanica nonchè città natale del sopracitato - si proprio quella penisola che inizia (o finisce, dipende dai punti di vista) in quel di Trst. Dobra večer! La band è la solita «Che viene di Serbia»: scatenata, stralunata, un po’cialtrona, che ti fa piangere e poi ridere, e poi ballare e poi saltare.

Tre lettere

Tempi perfetti chiamati cinquanta e cinquanta da Goran con le dita al cielo e dal suo alter ego musicale così come cromatico, Muharem Red¸epi grancassa e voce. Un manager a dir poco pittoresco e fuori da ogni protocollo è per tre quarti di spettacolo sul palco a fotografare e riprendere tutto con una discrezione non proprio da manuale, molto balkan anche questo. Tre lettere dicevamo: quella Cristiana, una suite interminabile con passaggi di una certa efficacia emotiva che ricordano il Vangelis mitologico. Quella musulmana e quella ebrea, soprattutto, un po’ sottotono. E poi si esaltano le simpaticissime quanto bravissime voci bulgare nel classico Ederlezi, che strappa profondità e sorrisi per le sfumature in eco Pippero. Gb: quante, tante volte sui palcoscenici del Fvg, indiscutibilmente uno degli Artisti in assoluto più amati da queste parti: oltre che per la musica, per quello che rappresenta. Perchè quegli anni ‘90 con la guerra in Bosnia e la pulizia etnica qui - dove una volta finiva il mondo - li abbiamo vissuti in maniera più empatica di altri, per dirla in questo modo.

Il palcoscenico

Sofereska, carico pesante dove non puoi restare fermo e la fanfara travolge una Trieste che sopita da una nuova ondata di benessere cerca di risvegliare la propria appartenenza mitteleuropea in direzione - slavia dopo decenni di nebbia culturale. Manca solo la griglia con i cevapcici e una pivo. Meglio due. L’aristocratico palcoscenico del Rossetti non è certo il più adatto a questo tipo di esibizione Popolare (con la p maiuscola): silenzio ovattato e quasi di disturbo per balli anarchicamente sconclusionati che si improvvisano ai lati dei comodi sedili della platea, e gli stucchi oro su sfondo cobalto con stelle intermittenti modello febbre-del-sabato-sera stridono quanto il pubblico che canta svogliatamente e quasi obbligato Bella Ciao. Ma poi arriva il zum-pa zum-pa finale ed esplosivo di Kalashnikov che porta in delirio il sold-out (secondo di fila dopo Einaudi, un plauso meritorio a Vigna Pr) del teatro più cool della regione! Il cuore di Goran su un aneddoto che spacca la notte a metà: «C’è giornalista che va ad intervistare vecchio signore a Gerusalemme, che ogni giorno da sessant’anni va a pregare su muro di pianto - giornalista chiede che cosa dice a muro - signore risponde chiedo come si fa a vivere insieme senza fare guerre - giornalista lo guarda interrogativa ed esclama Eh? - ecco, ora mi pare di parlare con muro conclude signore».

Una considerazione

Simpatia, lezione morale e schiettezza tipiche di quei luoghi, di chi non te le manda mai a dire. Insomma, dicono che Bregovic sia arrivato alla frutta; l’impressione personale non è stata certo questa. Ma fosse anche arrivato al pelinkovac o al brinjevec, l’altra impressione è che le critiche gli facciano benissimo! Hvala prijatelju Goran!