19 marzo 2024
Aggiornato 08:30
Esami clinici

Gastroscopia e colonscopia andranno in pensione: arrivano i chip a base di batteri

Probabilmente presto potremmo evitare di sottoporci a esami invasivi come la gastroscopia e colonscopia: arrivano i sensori da inghiottite a base di batteri

Nessuno nega l’estrema utilità di alcuni mezzi diagnostici come la gastroscopia e la colonscopia. Tuttavia, si tratta di esami che la maggior parte delle persone cerca di evitare perché sono tutt’altro che piacevoli. E questo sia in termini di preparazione che di svolgimento dell’esame. Ecco perché alcuni scienziati del MIT sono riusciti a dare vita a un prodotto completamente diverso, non invasivo, ma altrettanto affidabile. Si si tratta di una specie di capsula che potrebbe sostituire per sempre i vecchi metodi diagnostici.

Un sensore da inghiottire
Grazie agli scienziati della Mit’s School of Engineering, a breve potremo finalmente mandare in pensione gli apparecchi per effettuare gastroscopia e colonscopia. L’idea è quella di inghiottire dei sensori proprio come fossero una semplice pillola. Ma, a differenza dei chip comunemente usati, questi sono dotati di batteri geneticamente modificati che sono in grado di rilevare varie anomalie intestinali.

Cellule viventi
Per produrre il chip, gli scienziati hanno prodotto degli appositi sensori partendo da cellule viventi grazie a un’elettronica a bassissima potenza in grado di convertire la risposta batterica in un segnale senza fili facilmente leggibile per mezzo di un semplice smartphone. «Combinando sensori biologici ingegnerizzati con l’elettronica wireless a bassa potenza, siamo in grado di rilevare i segnali biologici nel corpo, quasi in tempo reale, aprendo la strada a nuove capacità diagnostiche», spiega Timothy Lu, associato di ingegneria elettronica presso il Mit.

Sanguinamento e altre malattie
I sensori intelligenti sfruttati dagli scienziati del MIT sono in grado di rilevare patologie del tratto gastrointestinale e, soprattutto, perdite di piccole quantità di sangue. Questo perché i sensori di cui è dotata la capsula reagiscono con una molecola marker dell’infiammazione. I test del dispositivo sono stati condotti con successo anche su modello animale (maiali).

Ingegnerizzazione dei batteri
L’ingegnerizzazione dei batteri non è affatto una novità, ma negli ultimi anni la scienza sta facendo passi da gigante in questo settore. È così  alcuni scienziati sono riusciti a dare vita a microorganismi in grado di captare diverse sostanze o produrre segnali. In medicina vengono usati anche i cosiddetti batteri diagnostici, ovvero concepiti allo scopo di effettuare diagnosi di precisione.

Le cellule che rilevano il sanguinamento dello stomaco
«La nostra idea era quella di inserire cellule batteriche all’interno di un dispositivo. Le cellule si sarebbero mosse mentre il dispositivo passava attraverso lo stomaco», racconta Philip Nadeau, coautore dello studio. Il team del Mit ha quindi deciso di combinare l’uso dei batteri insieme a un chip elettronico che potesse tradurre la risposta batterica in un semplice segnale wireless da inviare a uno smartphone. Hanno quindi adottato un particolare tipo di Escherichia Coli e lo hanno modificato allo scopo di emettere luce nel momento in cui trovava delle tracce di sangue. «La maggior parte del lavoro che abbiamo fatto era legato al sangue, ma in teoria si potrebbe insegnare ai batteri a percepire qualsiasi cosa e produrre luce in risposta a questo. Chiunque stia cercando di ingegnerizzare i batteri per percepire una molecola legata alla malattia potrebbe inserirli in uno di quei «pozzi», e sarebbe pronto per funzionare», spiegano i ricercatori.

Come è fatto il sensore
Il sensore ideato dagli scienziati è infatti dotato di quattro scomparti in cui vengono aggiunti i batteri e dei fototransistor. Il tutto è poi coperto da una membrana semipermeabile che consente alle molecole che si trovano nei paraggi di penetrare all’interno. Grazie ai fototransistor è possibile misurare la quantità di luce prodotta dalle cellule batteriche e inviare i dati allo smartphone su un’apposita app per Android – anch’essa realizzata dagli scienziati. Ciò significa che maggiore è la quantità di sangue, più elevata sarà l’intensità della luce. «Il sensore – spiegano i ricercatori -  è un cilindro lungo circa 1,5 pollici che richiede circa 13 microwatt di potenza». Il dispositivo è «con una batteria da 2,7 volt, che potrebbe alimentare il dispositivo per circa 1,5 mesi di uso continuo. Ma potrebbe anche essere alimentato da una cella voltaica sostenuta da fluidi acidi nello stomaco, utilizzando la tecnologia che Nadeau e Chandrakasan hanno precedentemente sviluppato». Il fatto che la batteria duri a lungo servirà allo scopo di poter monitorare il tratto digerente per diversi giorni o anche settimane.

L’obiettivo
«L’obiettivo del sensore è quello di evitare una procedura» fastidiosa, come la classica gastroscopia o colonscopia, «semplicemente ingerendo la capsula per capire se c’è davvero un sanguinamento», spiega il co-autore Mark Mimee. Il prossimo passo è quello di ridurre ancora le dimensioni del dispositivo e verificare il tempo in cui i batteri riescono a sopravvivere nel tratto digerente. La ricerca, pubblicata su Science, è stata finanziata da Texas Instruments, l’Hong Kong Innovation and Technology Fund, l’Office of Naval Research, il National Science Foundation, il Center for Microbiome Informatics and Therapeutics, il Brigham and Women’s Hospital, il Qualcomm Innovation Fellowship, e il Natural Sciences and Engineering Council of Canada.

Fonti scientifiche

[1] Ingestible «bacteria on a chip» could help diagnose disease - Ultra-low-power sensors carrying genetically engineered bacteria can detect gastric bleeding  - Massachusetts Institute of Technology