28 marzo 2024
Aggiornato 23:00
Violenza ostetrica

Violenza ostetrica in sala parto: 1 milione di donne vittime, 20mila bambini mai nati

Andare in ospedale per partorire ed essere vittima di violenze, questa la denuncia del 21% (1 milione) di mamme. Una deplorevole situazione che ha causato la mancata nascita di 20mila bambini. Tutti i numeri e cos'è la violenza ostetrica

Violenza ostetrica, è più diffusa di quanto si pensi
Violenza ostetrica, è più diffusa di quanto si pensi Foto: Shutterstock

ROMA – Un milione di mamme italiane ha sperimentato suo malgrado quella che è stata definita violenza ostetrica durante il travaglio o il parto. La figura principe di uno dei momenti più belli per una donna si trasforma in una sorta di aguzzino, tanto che è causa di una mancata nascita di almeno 20mila bambini. È la deprecabile situazione emersa da un’indagine realizzata dalla Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia (istituito e fondato da Alessandra Battisti e Elena Skoko), in collaborazione con le associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus, che ha fotografato il mondo sommerso delle violenze in sala parto negli ultimi quattordici anni.

Molte le vittime
In un momento come questo in cui non passa giorno senza che si sappia di una qualche violenza ai danni delle donne, fa probabilmente stupire sapere che ben il 21% delle madri con figli di età da zero a 14 anni, dichiari di aver subìto un maltrattamento fisico o verbale durante il primo parto, mentre addirittura quattro donne su dieci raccontano di essere state oggetto di azioni lesive anche della dignità personale. E non si tratta né di episodi isolati né di cose di poco conto, dato che il 6% di queste mamme ha deciso, data l’esperienza così traumatica, di non avere più figli per non dover ripetere questa brutta esperienza. Secondo una semplice stima, questa violenza ostetrica è costata la mancata nascita di circa 20mila bambini ogni anno, che moltiplicato per 14 (il lasso di tempo dell’indagine) significa 280mila bambini mai nati.

La violenza ostetrica, un fenomeno poco conosciuto
Avrà di certo stupito molti sapere che esiste una violenza ostetrica, eppure è tutto riportato nero su bianco nel rapporto presentato ieri a Roma, da titolo ‘Le donne e il parto’, che ha proprio indagato il fenomeno riguardante l’appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico e paramedico. Durante questa delicata fase, ossia durante il travaglio e il parto, la donna in pratica diviene in balìa delle procedure ‘da battaglia’ del personale preposto all’aiuto nel partorire.
Questo tipo si situazione o fenomeno è stato scoperto e ufficializzato per la prima volta nel 2007 in Venezuela. La violenza ostetrica è definita secondo la legge ‘organica sul diritto delle donne a una vita libera dalla violenza’, come «un’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione» e tutte quelle azioni che vanno contro la persona e i suoi diritti.
Per far conoscere e sensibilizzare su questo fenomeno sommerso, nel 2016 Alessandra Battisti, avvocato e membro dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia, e Elena Skoko, hanno lanciato la campagna #bastatacere, a cui poi è seguita questa indagine.
«Dai racconti che molte donne ci avevano fatto – commenta Elena Skoko, fondatrice e portavoce dell’Osservatorio – eravamo a conoscenza del fatto che per tante donne l’assistenza al parto era stata una esperienza traumatica. Per questo lo scorso anno abbiamo promosso la campagna #bastatacere sui social media. Ora sappiamo che il fenomeno è ancora più diffuso di quanto temessimo».

La pratica ‘imposta’ dell’episiotomia
Nello specifico, si legge nel rapporto che la principale esperienza negativa durante la fase del parto è quella della pratica dell’episiotomia (il taglio chirurgico vulvo-vaginale che dovrebbe facilitare l’espulsione del bambino) a cui è sottoposta oltre la metà (54%) delle donne intervistate, spesso senza che sia esplicitamente richiesta; anzi. Negli ultimi 14 anni, infatti, 3 partorienti su 10 – vale a dire 1,6 milioni di donne o il 61% di quelle che hanno subìto un’episiotomia – hanno dichiarato di non aver dato il consenso informato per autorizzare l’intervento. Se un tempo questa pratica era considerata un aiuto per la donna e il parto, oggi, l’Oms la definisce una pratica «dannosa, tranne in rari casi» poiché si tratta a tutti gli effetti di un intervento chirurgico. Nonostante ciò, la pratica dell’episiotomia è ancora viva e vegeta: 1 donna su 2 ne è stata oggetto, e spesso le conseguenze sono state anche gravi: per il 15% delle donne che hanno sperimentato questa pratica, pari a circa 400mila, si è trattato di una menomazione degli organi genitali, mentre il 13% delle mamme (circa 350mila) con l’episiotomia si è vista tradire la fiducia nel personale ospedaliero. Il numero più alto di episiotomie viene registrato nelle regioni del Sud e nelle Isole, con il 58% di operazioni. Segue il Centro e il Nord-Est con il 55% pari merito, ultimo il Nord Ovest con il 49% di casi.

C’è anche chi si è trovato bene ma…
In realtà ci sono mamme che si sono trovate bene in sala parto, e sono quel 67% del campione che dichiara di aver ricevuto un’assistenza adeguata, sia da parte di medici che di operatori sanitari. Rimane però un 27% delle donne intervistate (1.350.000) che dichiara di essersi sentita seguita soltanto in parte da medici e ostetrici. Molte mamme sono state lasciare a se stesse, e il 6% di queste afferma di aver vissuto l’intero processo del parto in solitudine e senza la dovuta assistenza.

Il parto cesareo
Un parte rilevante l’ha avuta anche il parto cesareo in Italia. Come emerso dall’indagine, il 32% delle partorienti ricorre ancora oggi al parto cesareo – nonostante l’Oms cerchi, laddove possibile, di scoraggiare questa pratica. Di queste, il 15% pare sia dovuta ricorrere al parto cesareo d’urgenza; il 14% di un intervento richiesto dal medico mentre solo il 3% è stato richiesto dalla stessa donna.
Ma anche dopo il parto spesso la donna è lasciata a se stessa: per esempio il 27% delle neomamme denuncia una carenza di sostegno e di informazioni sull’avvio dell’allattamento. Mentre il 19% lamenta una mancanza di riservatezza. In generale, il 72% delle intervistate si affiderebbe alla stessa struttura, ma il 14% cercherebbe sicuramente un’alternativa in caso di seconda gravidanza.