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Alimentazione

Indice glicemico e alimenti: tutto ciò che c’è da sapere

Cos’è l’indice glicemico e come viene calcolato. È vero che più è alto il livello glicemico e più elevata è la velocità di assorbimento? Tutto quello che c’è da sapere sull’IG degli alimenti di uso comune

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Indice glicemico

Cosa sappiamo davvero dell’Indice Glicemico, o IG? Per esempio, non tutti sanno che oltre al peso corporeo, i carboidrati possono alterare ciò che viene definito Indice Glicemico. Ogni alimento, infatti, può aumentare o meno il livello di zuccheri presenti nel sangue. Ma ci sono alcuni stratagemmi che possono evitare il cosiddetto picco glicemico. Di seguito, tutto quello che c’è da sapere in merito agli alimenti che ingeriamo ogni giorno e il loro ruolo nell’Indice Glicemico e nel diabete.

Cos’è l’indice glicemico

Prima di tutto è importante chiarire cos’è l’indice glicemico. L’acronimo IG o GI – dall’inglese Glicemic Index – indica la velocità di assorbimento di uno o più glucidi (zuccheri) e quindi il relativo rialzo glicemico dopo il pasto. Lo standard di riferimento utilizzato è il glucosio puro. Quest’ultimo ha un valore IG pari a 100. Per cui, se abbiamo un indice glicemico di 50, significa che il rialzo glicemico è la metà di quello del glucosio puro.

Cos’è la glicemia

Quando si parla di glicemia ci si riferisce alla quantità di glucosio che scorre nel flusso ematico. In condizione di assoluto digiuno, in un soggetto sano, si ha circa 1 grammo di zucchero ogni litro di sangue. Per aumentare tale livello basta assumere un qualsiasi glucide. In questa occasione, il corpo aumenta la secrezione di insulina.

Quando è nato il concetto di Indice Glicemico?

Benché negli ultimi anni sono tutti attenti all’indice glicemico, il concetto non è affatto nuovo. Anzi, intorno agli anni ’80 un certo Jenkins [1] abbozzò il primo sistema numerico per la classificazione della glicemia. In realtà i suoi studi si basavano sulle ricerche condotte una decina di anni prima dal professor Crapo dell’Università di Stanford. Fu lui il, infatti, primo ad asserire che ogni glucide provocava un rialzo glicemico differente. La ricerca condotta dal gruppo coordinato da Jenkins intendeva verificare la risposta di glucosio nel sangue dopo due ore dall’assunzione di un determinato alimento. I volontari dovevano consumare diversi cibi per un totale di 50 g di carboidrati. La loro risposta glicemica veniva poi confrontata con quella al glucosio puro o al pane bianco. I ricercatori stilarono così una tabella contenente 62 alimenti e il relativo innalzo glicemico: quel giorno nacque il famoso IG. Oggi non sono stati apportati poi tanti cambiamenti, se non per il fatto che sono stati aggiunti più alimenti alla tabella.

I valori di indice glicemico suggeriti da Jenkins furono i seguenti:
Fino a 40: molto basso
Da 41 a 55: basso
Da 56 a 69: moderato
Da 70 in su: alto

In sintesi, potremmo dire che se assumeremo un alimento come il miele o il pane bianco ad alto indice glicemico, la percentuale di assorbimento del glucide che si trova all’interno innescherà una risposta glicemica elevata. Al contrario, se mangio dello yogurt con un basso IG, verrà innescata una risposta glicemica ridotta.

Un metodo sicuro?

Il calcolo dell’indice glicemico – alla stregua del BMI per la misurazione del peso – è pieno di lacune. Benché molti lo adottino come sistema di riferimento, non può essere definito un sistema totalmente attendibile. Al limite, può essere considerato un riferimento indicativo quando si sceglie un alimento piuttosto che un altro.

I limiti del calcolo dell’indice glicemico

I limiti sono veramente molti. Il più importante e il più intuitivo è la velocità di assorbimento del glucosio, a cui molti fanno riferimento. Secondo alcune teorie, infatti, più l’indice glicemico è alto, più rapido sarebbe l’assorbimento del glucosio. Pertanto, se da un lato gli alimenti ad alto indice glicemico provocherebbero un rialzo elevato, tutto ciò avverrebbe molto rapidamente e , in più, finirebbe anche piuttosto velocemente. Al contrario, gli alimenti a basso indice – e quindi ad assorbimento lento – potrebbero provocare glicemia bassa ma continua. Questo pare essere un grave errore di interpretazione dell’indice glicemico. Anche perché sarebbe un po’ come dire che sia meglio mangiare i cibi ad alto indice glicemico.

È tutta una questione di amidi

I glucidi presenti negli alimenti – dai cereali ai legumi – sono formati da composti derivanti dall’amido. Sono questi che, per essere assorbiti dal nostro organismo, devono essere metabolizzati in glucosio grazie all’azione di enzimi alfa-amilasi. Quindi, se la glicemia è elevata dopo un pasto a base di carboidrati significa soltanto che il nostro corpo è riuscito a digerirli.

Diversi fattori concorrono al rialzo glicemico

Non è solo una questione di indice glicemico, ma vi sono combinazioni dietetiche possono incidere sulla velocità di digestione degli amidi e della loro trasformazione in glucosio. Tra questi vi sono la cottura, la forma liquida o solida, la presenza di fibra, di proteine eccetera. Se, per esempio, mangio un cucchiaino di marmellata è molto più probabile che io possa ridurne la velocità di assorbimento se magari la spalmo su una fetta di pane integrale. Questo perché le fibre ne riducono la velocità di assorbimento, allo stesso modo in cui lo fanno le proteine. A parità di alimento vi possono essere anche altri fattori che alzano il livello glicemico: la frutta matura ha – per ovvi motivo – un IG più alto di quella acerba. Allo stesso modo un cibo raffinato ha un indice glicemico più alto di uno integrale. Anche la masticazione può incidere sull’IG: se masticato a lungo, un alimento potrebbe avere un indice glicemico più elevato.

[1] Jenkins et al.The glycaemic index of foods tested in diabetic patients: a new basis for carbohydrate exchange favouring the use of legumes. Diabetologia. 1983 Apr;24(4):257-64.

[2] Diabetes Care. 2008 Dec; 31(12): 2281–2283. doi: 10.2337/dc08-1239 PMCID: PMC2584181 International Tables of Glycemic Index and Glycemic Load Values: 2008 Fiona S. Atkinson, RD, Kaye Foster-Powell, RD, and Jennie C. Brand-Miller, PHD.

VEDI ANCHE: Iperglicemia: 10 consigli per ridurla.
o 10 consigli (scientifici) per ridurre iperglicemia e diabete.

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