Guzzi: «Ecco perché nei prossimi mesi ci aspetta l’apocalisse finanziaria»
Gabriele Guzzi, economista e presidente del movimento L’Indispensabile, analizza al DiariodelWeb.it gli scenari del prossimo futuro dell’economia italiana e occidentale
«Apocalisse finanziaria». È la descrizione ben poco rassicurante, ma che appare molto azzeccata, utilizzata per definire l’attuale scenario da Gabriele Guzzi, economista e presidente del movimento L’Indispensabile. Il DiariodelWeb.it lo ha raggiunto per chiedergli la sua analisi e le sue previsioni che lo hanno spinto ad utilizzare pubblicamente questa espressione.
Dottor Gabriele Guzzi, che lettura dà della situazione attuale della nostra economia?
Noi viviamo una crisi globale, una europea e una specificamente italiana. Dobbiamo analizzare separatamente queste tre dimensioni.
Prego.
La crisi globale è quella dovuta alla guerra in Ucraina e alle tendenze inflattive, che in realtà già dai mesi precedenti al conflitto caratterizzavano soprattutto il settore dell'energia. Inoltre questo scontro geopolitico rischia di frammentare l'ordine finanziario internazionale.
In che senso?
Stiamo vedendo che le sanzioni inflitte alla Russia la stanno legando sempre più strettamente alla Cina. Mosca sta esportando molta energia ai cinesi e Pechino sta puntando a rimpiazzare le importazioni dei beni europei che i russi non possono più acquistare. Questo rischia di creare una perdita di competitività delle nostre aziende: il Made in China era un problema già prima, figuriamoci con il petrolio russo scontato.
Quindi imporre le sanzioni alla Russia è stato un errore?
Bisogna capire qual è l'obiettivo dell'Europa. A me non è chiaro. Ad oggi queste sanzioni non stanno creando grossissimi problemi alla Russia. Anzi, i fenomeni che abbiamo descritto erano facilmente pronosticabili. I russi non hanno bisogno di noi per venderci petrolio e gas: Cina e India hanno da sole tre miliardi di consumatori affamati di energia a basso costo. Dalla storia sappiamo che le sanzioni non hanno alcun ruolo nella destabilizzazione del potere interno di una nazione. Pensiamo all'Iran, che è sotto embargo da decenni, o all'Italia fascista, con tutta la sua retorica propagandistica sull'oro.
Faccio il maligno: non è che l'Europa ha imposto le sanzioni non per fare i suoi interessi, ma quelli degli Stati Uniti?
Come diceva Andreotti, «a pensar male si fa peccato, ma a volte ci si prende». La mossa degli Usa è ovviamente un richiamo all'ordine. Alcuni Paesi europei avevano tentato, negli ultimi anni, un'autonomia nei rapporti con Russia e Cina. Così gli Stati Uniti hanno preferito rompere in due la globalizzazione, tornando ad una contrapposizione tra blocchi, pur di compattare a sé l'Unione europea, che in effetti nasce come progetto di Washington.
Tra i Paesi che avevano tentato un'autonomia nei rapporti con la Russia e la Cina c'è anche l'Italia dei governi Conte.
L'Italia ha una lunga storia di multilateralismo, una tradizione nobilissima che ci aveva portato ad essere una potenza regionale nel Mediterraneo, molto forte e ascoltata. Quando ci siamo accodati in tutto e per tutto alle strategie geopolitiche americane e franco-tedesche abbiamo perso di rilevanza. Ma vorrei dire un'altra cosa.
La dica.
L'alternativa non è per forza tra stare nella Nato o uscirne. Ci si può stare con maggiore autonomia e voce in capitolo. Questo ci manca. I governi Conte, soprattutto il primo, ci avevano provato.
Aspettarsi questo da Draghi, vista la sua figura, è un po' utopico.
Draghi ovviamente è stato chiamato anche per gestire questa crisi, che comunque era prevedibile. Mi sembra che sia molto benvoluto dagli Stati Uniti.
Ha parlato della crisi globale. Quella europea?
È quella di un'unione economica disfunzionale. La scorsa settimana la Bce ha annunciato l'aumento dei tassi di 25 punti base a luglio e di altri 50, probabilmente, a settembre, dichiarando la fine del programma di acquisti netti. Questo sta già creando grosse tensioni sui mercati finanziari. Avere un'autorità monetaria per diciannove autorità fiscali è un po' problematico. La Germania ha dei desiderata, ma l'Italia, la Spagna e ormai pure la Francia ne hanno altri.
E quella italiana?
All'interno di questo progetto problematico, l'Italia ha dei suoi difetti specifici, che conosciamo da molti anni: altissima disoccupazione, salari molto bassi, disuguaglianze crescenti.
Quali sono, dunque, gli scenari che ci attendono nei prossimi mesi?
Ho parlato di un'«apocalisse finanziaria», ma nel senso di «rivelazione». Verranno alla luce queste difficoltà. Bisognerà capire se la nostra classe dirigente sarà capace di gestirle e di offrire soluzioni di senso. Io personalmente ho grossi dubbi, perché ci sono gruppi di interesse molto forti, quelli dei grandi capitalisti, che hanno la loro legittima agenda. Il problema è che il 99% non riesce ad averne una.
Se dovesse essere lei a gestire questa apocalisse, quali sarebbero le sue soluzioni?
Sicuramente il progetto europeo deve arrivare ad una nuova verifica, che parta da un'analisi realistica di quello che è successo negli ultimi anni, dei difetti oggettivi che oramai nessuno può celare. Dobbiamo capire se ci sono le condizioni politiche, non tecniche, per arrivare ad un rilancio di questo progetto tra i Paesi. Io non credo che ci siano. Tutti i problemi monetari nascono da queste lacune politiche: si creano istituzioni federali, come la Bce, senza una Costituzione né un popolo. Il famoso salto federalista non si può fare, almeno a breve.
Cosa può fare l'Italia in tal senso?
Le nostre classi dirigenti devono intanto capire questo punto. E quindi il forum europeo, cioè il luogo in cui le potenze mettono insieme i loro interessi in base ai rapporti di forza, deve essere concepito in questa maniera, non come soluzione ai problemi.
Questo cambio di passo deve riguardare anche la guerra? Dobbiamo riappropriarci di quell'identità mediatrice di cui parlava prima e smetterla di appiattirci acriticamente sulle posizioni americane e ucraine?
Assolutamente. Anche in questo caso l'Italia si dovrebbe guadagnare uno spazio di autonomia negoziale, lavorando per un accordo diplomatico al più presto. Questa guerra, purtroppo, è combattuta sulle spalle degli ucraini, ma è molto più grande. Attiene a un riequilibrio tra le potenze e a un nuovo sistema di sicurezza e di pace nel continente europeo.
A cosa si riferisce?
La Russia ha delle rivendicazioni, giuste o sbagliate che siano, che vanno affrontate sedendosi ad un tavolo. Dunque la guerra si poteva evitare, o si potrebbe accorciare di molto, arrivando direttamente a questo tavolo. Oggi le condizioni per un cessate il fuoco restano le stesse di cento giorni fa e probabilmente saranno le stesse tra cento giorni. Questo continuo invio di armi e prolungamento dei conflitti, senza che nessuno creda veramente in una vittoria dell'Ucraina, come ha detto la Von der Leyen, non fa bene a nessuno. Men che meno alla gente che sta sotto le bombe, di cui ci dimentichiamo sempre, che vuole che i bombardamenti cessino. È una carneficina inutile, quando sappiamo già quale sarà il punto di arrivo: la neutralità dell'Ucraina, la Crimea russa e un coordinamento a statuto speciale del Donbass.
Eppure chi porta avanti questo conflitto si dice pacifista...
Una retorica insopportabile. Ma difficile da scalfire nel dibattito, perché non appena si porta avanti un'analisi del genere si viene subito accusati di intelligenza con il nemico. Faccio una provocazione: quando Zelensky ha chiesto la no fly zone, noi gli abbiamo risposto di no. Allora non siamo stati solidali con loro? Essere solidali con l'Ucraina significa dire di sì a tutte le loro richieste? Allora lo siamo ben poco, perché non stiamo fornendo le armi che loro ci chiedono e non li stiamo tutelando come vorrebbero. Invece, anche per il bene del continente, da una prospettiva più ampia del governo che ora è attaccato, bisogna avere un approccio più complesso.