25 aprile 2024
Aggiornato 04:00
MotoGP

Il dottor Costa e il Dottore Valentino Rossi: sette anni dopo la lite, ecco le scuse

Claudio, fondatore della clinica mobile e per quasi quarant'anni medico angelo custode dei piloti del Motomondiale, racconta il retroscena del suo litigio con il nove volte iridato, dopo il suo infortunio del 2010 al Mugello. E rivela di sentirsi in colpa per come si comportò a quell'epoca

Il dottor Claudio Costa, fondatore della clinica mobile, abbraccia Valentino Rossi
Il dottor Claudio Costa, fondatore della clinica mobile, abbraccia Valentino Rossi Foto: ANSA

ROMA – Valentino Rossi da una parte, il dottor Claudio Costa dall'altra. Due italiani, due miti del motociclismo, ciascuno a suo modo. Il primo la storia delle due ruote, infatti, l'ha scritta in sella, il secondo nelle sale della clinica mobile, che lui stesso ha fondato, e grazie alla quale nel corso dei suoi quasi quarant'anni di attività (prima di cedere il testimone a Michele Zasa) ha salvato la salute e spesso la vita di molti piloti. Eppure, i rapporti tra questi due famosi connazionali del Motomondiale sono tesi ormai da anni: per la precisione dal Gran Premio del Mugello 2010, quando il fenomeno di Tavullia fu costretto a dare forfait dalla sua gara di casa per una frattura scomposta di tibia e perone rimediata nelle prove del venerdì. «Io con Valentino è un po’ che non parlo – è il retroscena raccontato da Costa nel corso dell'ultima puntata di Paddock – L’ho sempre aiutato, ho fatto delle cose magnifiche con lui. Quando aveva una spalla malandata e io lo preparai per Le Mans, fece la pole e arrivò secondo a pochi millesimi da Lorenzo. Al Mugello pensavo di giocarmi la carta vincente e vederlo sul podio... Ma mi disse che gli era stato confessato che le mie terapie potevano aggravare la sua situazione e che sarebbe stato costretto ad operarsi a fine stagione. A quel punto gli dissi che io non ho mai fatto niente per aggravare le situazioni di ogni pilota. Lui sa quante volte sono riuscito a farlo montare sulla moto anche in condizioni difficili, con la febbre sopra i 40, o quando a suo padre dopo l’incidente dissero che non avrebbe potuto più correre per un trauma cranico: invece io lo portai a correre in Indonesia e fece primo. Gli dissi che se lui pensava una cosa del genere offendeva la clinica mobile dove era stato fatto di tutto e di più per curare i piloti, per cui non volevo che ci entrasse più. Il giorno dopo quando lui si ruppe la gamba lo curai io e gli altri si presero il merito».

Mano tesa
Le parole di Valentino Rossi, insomma, all'epoca parvero irrispettose verso il prezioso e duro lavoro compiuto dal medico e dalla sua struttura. Eppure, a sette anni di distanza, ora è lo stesso dottor Costa a sentirsi in colpa per il suo comportamento, che a suo dire non tenne conto dei legittimi dubbi del campione: «Nel libro dedicato a Marquez ho chiesto scusa a Valentino perché da medico avrei dovuto accettare questo suo dubbio, cercare di comprenderlo, facendogli capire che non avrei mai fatto nulla di male contro di lui, se non cercare di rimetterlo in piedi per fargli vincere la gara e il campionato del mondo. Quando alla fine dell’anno si operò lo stesso mi aspettavo che venisse da me, ma non lo fece. Io reagii in nome di tutto quello che era stato fatto nella clinica, ma questo mi fece perdere di vista il mio obiettivo primario: aiutare sempre ogni pilota, in ogni situazione. Per questo gli ho chiesto scusa: sono io ad aver sbagliato, pur essendo stato provocato». Nonostante i passati litigi, comunque, non è mai davvero venuta meno la stima del chirurgo verso il nove volte iridato, che lui definisce come un eterno ragazzino: «Questo suo modo di evocare il talento quasi dandogli un aspetto ludico è quello che piace a tutti. Il fanciullo fa parte di tutti noi, ma ce lo dimentichiamo, mentre Valentino gli è rimasto legato e proprio questo, paradossalmente, è ciò lo rende grande, geniale, mitico. E potrà continuare ad esserlo fin quando vorrà».