29 marzo 2024
Aggiornato 16:00
Intervista esclusiva del Diario Motori

Tarquini: «Le colpe non sono di Sebastian Vettel, ma dei vertici Ferrari»

Gabriele, già pilota e commentatore tecnico di Formula 1, analizza per noi il GP di Malesia di ieri. Assolvendo il campione tedesco per l'incidente al via: «Meno male che continua a provarci. Semmai è Arrivabene a non essere lucido»

Sebastian Vettel; sullo sfondo, Maurizio Arrivabene
Sebastian Vettel; sullo sfondo, Maurizio Arrivabene Foto: Ferrari

ROMAGabriele Tarquini, partiamo dall'inizio, ovvero dall'incidente di Vettel alla partenza. Che è il quarto, per lui, dopo Cina, Russia e Belgio. Segno che sta cercando di superare i limiti della Ferrari o che sta diventando troppo nervoso?
Onore a lui perché continua a provarci con tutte le sue forze, nonostante una monoposto che non è certo quella a cui era abituato in Red Bull. E poi mettiamoci pure un po' di sfiga, perché se Rosberg non si fosse spostato in quel modo, lui sarebbe riuscito a infilare Verstappen, che è un osso duro. Non penso sia il caso di buttargli la croce addosso: le colpe della Ferrari di oggi non sono certo dei piloti.

E di chi, allora?
Dei vertici, che non vedo abbastanza lucidi. Maurizio Arrivabene lo conosco da molto tempo, ma prima faceva un altro lavoro. E non è facile improvvisarsi team principal di una scuderia di Formula 1. Che ci siano problemi di gestione degli uomini lo si è visto anche a metà stagione, quando è stato mandato via il direttore tecnico James Allison e lo si è sostituito con un motorista, Mattia Binotto. Nessuna delle squadre che oggi vincono ha fatto questo tipo di scelte.

Se saliamo di un gradino, anche la pressione che ha messo Marchionne fin da prima dell'inizio della stagione non ha pagato.
Ma Jean Todt, ai suoi tempi, di pressione ne metteva anche di più. La responsabilità di Marchionne sta nella scelta degli uomini, a partire da Arrivabene, appunto. A meno che non gli sia stato imposto dalla Philip Morris, che è pur sempre quella che paga l'attività sportiva della Ferrari. Marchionne è un capitano d'industria straordinario, che ha saputo risanare una situazione economica disastrosa nel gruppo Fiat. Ma in Formula 1 non basta avere i conti a posto per vincere.

Trasferendoci in casa Mercedes, però, anche Hamilton non sembra particolarmente lucido. Ieri ha parlato di complotto ai suoi danni per farlo perdere...
In realtà, io le sue parole le ho interpretate diversamente. Quando parla di «qualcuno che non vuole che io vinca», secondo me non si riferisce alla sua squadra, ma a una forza superiore. Il suo idolo è Ayrton Senna, che io conoscevo bene perché ci corsi contro, e lui nei momenti più difficili si richiamava sempre alla sua profonda religiosità, come oggi fa Lewis.

Misticismo a parte, pensi che abbia ancora delle vere chance di vincere?
Certo. Ho analizzato i tempi sul giro della gara di ieri. E, prima di rompere il motore, andava più forte di tutti, Rosberg compreso.

A proposito di Rosberg, anche lui si è preso una penalità. L'impressione è che i commissari stiano esagerando, e poi come si fa a lamentarsi che non c'è più spettacolo?
Oltretutto usano due pesi e due misure. Il sorpasso di Rosberg non solo non andava penalizzato, ma è stato stupendo: si è buttato all'interno e Raikkonen non se ne è nemmeno accorto. Oltretutto a rischiare di più era lui, non Kimi: lo avrebbe superato comunque, magari dopo uno o due giri, ma ha voluto provarci lo stesso in quel punto. E, in caso di incidente, un ritiro con Hamilton al comando sarebbe stato disastroso per il suo Mondiale. Queste penalità suonano come un avvertimento: non farlo mai più! Ma le scelte di chi comanda la F1 sono sempre più inspiegabili. Pensate alla virtual safety car: faccio fatica a capirla io dopo cinquant'anni di automobilismo, figuriamoci i telespettatori da casa. Mi fa vomitare...