19 marzo 2024
Aggiornato 11:30
Immigrazione

Fratoianni: «Vi racconto cosa ho visto a bordo di Open Arms»

Il deputato di Leu, appena sbarcato dalla nave della ong Open Arms, ci racconta la situazione nel Mediterraneo: «Un disastro, a cui ha aperto la porta Minniti»

Nicola Fratoianni, questo weekend è sbarcato dalla missione della ong Open Arms. Che cosa l'ha spinta a voler salire sulla nave per vedere con i suoi occhi questa realtà?
L'impossibilità di restare a guardare, di fronte ad una situazione, come quella che viviamo in questo momento, in cui persone inermi continuano a morire in mare. Invece oggi l'Italia scivola ogni giorno di più nella vergogna e nel cinismo di un governo che ha scelto di usare il proprio potere per dare la morte, invece che per salvare la vita. Il secondo motivo riguarda il mio ruolo: io faccio il parlamentare e penso che questo atto significhi anche esercitare la mia funzione di testimonianza e comprensione.

E cosa ha visto a bordo?
Come non sia facile, ma possibile sì, evitare queste tragedie. Ho passato venti giorni sulla nave, durante i quali abbiamo svolto ricerche di imbarcazioni in difficoltà, in qualche caso andate a vuoto o perché quegli uomini erano finiti in fondo al mare, o perché la Marina libica era intervenuta prima di noi: non per salvataggio, ma per cattura e contenimento. In un caso siamo riusciti a intervenire, abbiamo prelevato 87 persone da un gommone il cui motore era in avaria da diverse ore. Il Mediterraneo, ormai, è la rotta più letale del mondo: il numero di morti continua ad aumentare, semplicemente perché sono troppo poche le imbarcazioni a svolgere questo lavoro di salvataggio. Se questo lavoro fosse fatto dagli Stati, come è capitato anche al nostro Paese ai tempi della missione Mare nostrum, queste morti sarebbero evitate.

Quindi, lei dice, le ong fanno quel lavoro che le Guardie costiere non riescono a fare? O non vogliono?
La Marina libica è una struttura che non ha neanche le capacità operative e di coordinamento, ma anche qualora le avesse non può farlo perché la Libia non dispone di neanche un porto sicuro. Non parliamo di giudizi politici, ma di criteri stabiliti da norme internazionali. Non è un caso se questo governo, oltre a chiudere i propri porti, insista perché l'Unione europea riconosca la Libia come porto sicuro. Ma questo non accade, perché in quel Paese non vengono riconosciuti i diritti umani, le norme contro la tortura o la discriminazione... Per quanto riguarda la Guardia costiera italiana, ha una lunghissima storia di solidarietà in mare e salvataggio, ma oggi è messa in condizioni drammatiche. Dal momento in cui l'Italia, come gli altri Paesi europei, ha arretrato la propria area di azione, riconoscendo la zona Sar libica, gli interventi diventano impossibili o impraticabili. La politica impedisce, nei fatti, alla Guardia costiera di svolgere la propria funzione.

Nella pratica, quindi, la svolta in negativo è stata quella di riconoscere la Libia come un interlocutore.
E come un Paese in grado di operare il coordinamento e la gestione dei flussi migratori.

Ma questo è cominciato con lo scorso governo.
Sì, con Minniti e il Partito democratico. Lì si apre la porta a questo disastro. Non solo si è legittimato i libici, trasformando gli scafisti in carcerieri, ma con il regalo delle motovedette, recentemente rinnovato dal governo, gli si è consentito di operare. Certamente senza averne la capacità, e forse nemmeno l'intenzione.

Come funziona il lavoro delle ong nel concreto? Davvero sono in contatto con gli scafisti, per quanto ha avuto modo di vedere?
La vita quotidiana di bordo è rigidamente organizzata, come su tutte le navi di quella dimensione: 36 metri, con 19 persone di equipaggio. Ogni giorno si svolgono, a rotazione, turni di cucina, di pulizia ma anche di sorveglianza e osservazione in mare con il binocolo e con il radar. Una volta arrivati nella zona Sar libica, si comincia una rotta di pattugliamento sulla base dell'esperienza: quella a cui ho partecipato è stata la missione numero 48. E poi l'altro strumento fondamentale è l'ascolto delle comunicazioni radio. Così siamo venuti a conoscenza della vicenda della Asso 28, cioè del respingimento operato da una nave che batte bandiera italiana, e poi del salvataggio degli 87 migranti. Nel nostro caso a segnalarci il gommone in difficoltà e a richiederci l'intervento è stato un mercantile, che ha visto che la nostra era la nave più vicina. E sempre così, la missione precedente, venne salvata la vita di Josefa.

Il governo, e il ministro Salvini in particolare, sono stati molto duri con le ong in generale e con Open Arms in particolare: «Perché si dirigono in Spagna? Hanno qualcosa da nascondere?», al punto da minacciare addirittura querele. Lei cosa si sente di rispondere?
Che le ong fanno quello che i governi non fanno più. Fin quando esisteva Mare nostrum, non esistevano ong nel Mediterraneo, perché non servivano. Esattamente come, oggi, Open Arms non opera nelle acque spagnole di fronte al Marocco, perché lì la Guardia costiera svolge un lavoro di ricerca e salvataggio quotidiano. Questo governo continua a giocare una partita politica cinica e strumentale sulla vita di migliaia di persone, in carne ed ossa, che sfidano la morte per sfuggire da condizioni di assoluta disperazione. A chi dice che potrebbero farne a meno consiglio di fare un giro in mezzo a quel mare, per tornare con i piedi per terra.