Scrisse «Salvini sparati»: ora rischia di dover pagare un maxi risarcimento
Un antagonista milanese a processo per i pesanti insulti rivolti al segretario della Lega su Facebook: chiesti 20 mila euro per diffamazione e minacce
MILANO – Scrisse sul profilo Facebook del leader leghista, il 25 aprile 2016, proprio nel giorno della festa della Liberazione: «Salvini, in nome della bellezza e dell'intelligenza. Fai un gesto nobile. Sparati in bocca. Ps: prima o poi verrai appeso a un lampione, ne sei consapevole?». Ora Matteo Salvini chiede un risarcimento di 20 mila euro al noto antagonista milanese autore di questi insulti: Valerio Ferrandi.
Violenza verbale
Trentadue anni, figlio dell'ex esponente di Prima Linea Mario, venne denunciato dal numero uno della Lega dopo aver commentato, nascondendosi dietro lo pseudonimo di Frederic Dubarrè, un post scritto da Salvini su Facebook durante le celebrazioni del 2016 per la liberazione dell'Italia dal nazifascismo: «Renzi, Boldrini e Mattarella in piazza per il 25 aprile, ipocriti. Sfruttando il sacrificio di chi diede la vita per cacciare dall'Italia l'occupante straniero nel nome della libertà, oggi sono complici e finanziatori di una nuova e violenta occupazione straniera, servi di una Unione Europea che ci sta rubando lavoro, diritti, sicurezza e speranza del futuro».
Alla sbarra
Dopo la denuncia presentata da Salvini a titolo personale e a nome della Lega, il 32enne è finito sotto processo a Milano per diffamazione e minacce. Il pm Enrico Pavone aveva chiesto l'archiviazione dell'indagine a suo carico ma l'istanza è stata respinta da un gip che ne ordinò l'imputazione coatta. Così oggi si è celebrata la prima udienza, con la Lega che ha chiesto di costituirsi parte civile contro l'autore dei messaggi, e il giudice monocratico Giuseppe Vanore che ha bocciato l'istanza. Presente in aula il giovane imputato, difeso dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini: «Il signor Salvini – si è sfogato Ferrandi fuori dall'aula – dovrebbe evitare le consuete provocazioni. La mia non era una minaccia ma un invito a studiare la storia per evitare che si ripeta ancora». Il processo è stato aggiornato al 30 gennaio 2019.
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