29 marzo 2024
Aggiornato 07:30
intelligenza artificiale

C'è un modo per proteggersi dagli algoritmi di Facebook (che cambiano)

Il cambio dell'algoritmo di Facebook minaccia l'editoria. C'è un modo per proteggersi?

C'è un modo per proteggersi dagli algoritmi di Facebook (che cambiano)
C'è un modo per proteggersi dagli algoritmi di Facebook (che cambiano) Foto: Shutterstock

ROMA - Facebook, per noi giornalisti - e più in generale per chi cura un blog o fa content marketing - è stato un vero passaggio epocale. Quando ho cominciato a scrivere i miei primi articoli, l’ho fatto online, con un Facebook (e una community) che rispondeva istantaneamente, quasi fosse telecomandata. Non c’erano sponsorizzazioni - o se esistevano - erano davvero minime. Gli utenti condividevano i post senza bisogno dei cosiddetti (e davvero fastidiosi) titoli «acchiappa clic», che poi hanno anche un po’ «distrutto» il giornalismo, quello fatto di vere argomentazioni. Il tutto avveniva in modo naturale, quasi genuino, senza istigazioni. Bene, tutto questo Eden, oggi, non esiste più. E con il nuovo algoritmo di Facebook, che grida all’amicizia, articoli di aziende ed editori rischiano di essere penalizzati in termini di visibilità - rispetto ai post degli amici - del 500%, percentuale che va ad aggiungersi al calo del 25% del traffico proveniente da Facebook e diretto ai siti di news nell'ultimo anno. Il primo numero (500%, ndr.) me lo conferma Andrea Volpini, di WordLift, che mi spiega nel dettaglio quali sono le conseguenze di quest’ultimo aggiornamento targato Mark Zuckerber che Larry Kim ha definito, giustamente, «News Feed Armageddon».

A cosa andiamo incontro
Oltre alla visibilità che diminuirà del 500%, saranno ridotte anche le metriche di engagement sugli articoli (per editori e brand) dove il calo è previsto dell’80%. «Se oggi con un post ottengo, organicamente, 10 like, domani me ne troverò soltanto 2», mi spiega Andrea. Ovviamente tutto questo avrà un costo, che aumenterà. «Il costo dell’advertising su Facebook salirà nuovamente (già nello scorso anno, in diretta conseguenza della crescentepopolarità di Facebook, è salito del 41%) - mi spiega ancora Andrea -. Una riduzione del traffico organico necessariamente determinerà un incremento dei costi di pubblicità, che graviterà anche in funzione della riduzione dell’inventario. La gente, secondo Zuckerberg, dovrà passare meno tempo su Facebook e questo significa che il tempo speso avrà un valore crescente per gli advertiser».

In generale gli articoli che hanno delle chance in più sono quelli che generano più interazioni all’interno della cerchia sociale, tutti gli articoli che richiedono degli approfondimenti successivi ed è ipotizzabile che anche i gruppi possano dare un valore importante in tal senso.

Ci si può proteggere da un algoritmo?
Ovviamente non è la prima volta che Mark Zuckerberg decide di cambiare l’algoritmo del suo social network e, ovviamente, sono ben note le sue continue battaglie contro le fake news che - ammettiamolo - ha ampiamente contribuito a creare con la diffusione massiccia dei contenuti in rete. A questo punto, mi chiedo se c’è un modo, più o meno empirico, per proteggersi dalla costante evoluzione di Facebook, sempre più incline a spillarci denaro. «Bisogna prima di tutto ragionare sul valore transazionale che lega oggi chi produce il contenuto, chi lo pubblica (la piattaforma, in questo caso Facebook) e chi ne fruisce (ovvero il lettore) - afferma Andrea -. Il modello di business attuale è dominato da un paradigma molto semplice: i tuoi dati in cambio del mio servizio. Proteggersi dagli algoritmi vuol dire prima di tutto avere il controllo sui propri metadati. Questo perché l’intelligenza artificiale che governa le rivoluzioni nel settore dell’editoria – come ad esempio l’aggiornamento del news feed di Facebook – dipende dall’utilizzo di grandi quantità di dati semanticamente strutturati. Il controllo dei dati (e dei metadati) come ‘cura’ - per chi scrive – diventa, nel contesto dell’intelligenza artificiale, un passaggio obbligato.»

L’intelligenza artificiale ci viene in aiuto
Certo è che se l’intelligenza artificiale (e i suoi algoritmi, ndr.) ci mette in ginocchio, allo stesso tempo può darci una mano considerevole. Al bando i robot-giornalisti (in Giappone il romanzo di una macchina è riuscito a superare la prima selezione di un corso letterario): se l’intelligenza artificiale è fatta con i nostri dati, allora i nostri dati possono ‘variare’ la sua evoluzione. «Siamo passati dalla liberalizzazione degli algoritmi, alla liberalizzazione dei modelli di calcolo utilizzati dagli algoritmi e questo ci consente effettivamente - come produttori di contenuti - di partecipare alla rivoluzione dell’AI e di controllare i nostri dati», mi conferma Andrea, parlandomi del software di ottimizzazione della SEO realizzato dalla sua startup. «E’ nato utilizzando tecnologie open source ed usa dati liberi (i famosi linked open data) dando, a chiunque pubblichi contenuti sul Web, la possibilità di creare il proprio grafo della conoscenza e i propri metadati semantici».

Ora per chi scrive, oltre al controllo dei metadati e la SEO, l’AI offre soluzioni diverse nell’ambito della raccomandazioni dei contenuti e della loro organizzazione (ad esempio in questi giorni - tra le attività di ricerca e sviluppo di WordLift – si sta sperimentando come utilizzare l’AI per ri-organizzare velocemente le migliaia di foto che blogger ed editori hanno sui propri siti web) e ovviamente nuove modalità di accesso.

E se ci affidassimo (di nuovo) alla SEO?
Per un Facebook di cui non ci si può fidare, però, resta sempre il caro vecchio Google e le (spesso) fastidiose regole SEO, un vero e proprio dogma per chi si occupa di contenuti online prima dell’ascesa di Mark Zuckerberg. Anche qui, tuttavia, le regole stanno cambiando, con algoritmi di intelligenza artificiale sviluppati sempre più nell’ottica di comprendere la cosiddetta «voice search», la ricerca vocale. Ricerca vocale che - peraltro - aumenterà di gran lunga il potere di Google: entro il 2022, la sua quota di mercato dovrebbe aumentare del 75%. «Oggi puoi provare a chiedere (al momento solo in inglese) direttamente a un dispositivo Google Home chi è Andrea Volpini e di cosa mi occupo senza dover passare dal mio sito web. Lo stesso puoi farlo - sempre in America - usando Cortana o Bing direttamente. I dati strutturati del mio sito sono diventati parte del grafo che i motori di ricerca utilizzano per ‘rispondere’ in linguaggio naturale agli intenti di ricerca. AI e ricerca vocale sono infatti i temi principali nello sviluppo di WordLift e di WooRank - l’azienda nostra partner con la quale stiamo realizzando nuovi servizi per portare visibilità e audience a chi pubblica i contenuti, in un momento in cui la visibilità su Facebook andrà drasticamente a diminuire».

E’ quindi possibile proteggersi dagli algoritmi di Facebook? Sì. A patto che usiate delle macchine (per sconfiggere altre macchine). E, soprattutto, siate innovativi.