24 aprile 2024
Aggiornato 14:00
analisi dei dati

Industria 4.0, perchè se le PMI non usano i Big Data non è per i soldi

Cosa significa aprirsi ai Big Data per una PMI? L'importanza delle informazioni aziendali nel grande segmento dell'Industria 4.0

Industria 4.0, perchè se le PMI non usano i Big Data non è per i soldi
Industria 4.0, perchè se le PMI non usano i Big Data non è per i soldi Foto: Shutterstock

MILANO - Si fa presto a dire Big Data. Non tanto per le grandi aziende, quelle che hanno a che fare con il digitale da tempo. Se andate in una PMI, nascosta tra le grandi fabbriche alla periferia della vostra città e bussate alla loro porta, difficilmente sapranno dirvi esattamente cosa significa «usare i Big Data». Già, perchè l’evoluzione dei processi digitali non è una materia che hanno studiato tutti e, anche di fronte a corsi di formazione, non è sempre facile capire cosa richiede il mercato. Un mercato che viaggia veloce, come un cavallo a briglia sciolte al quale, per stare dietro, ci vuole un duro allenamento. Di fatto, secondo l’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano, solo il 7% delle PMI fa uso dei Big Data.

«C’è da dire che il tema dei Big Data è stato usato negli ultimi anni per rendere d’attualità il tema stesso dell’analisi dei dati aziendali e quindi per evangelizzare le imprese a prendere in considerazione la mole di informazioni che già possiedono internamente. Queste informazioni interne, infatti, hanno una grande potenzialità, che rimane, però, inespressa», sottolinea Carlo Vercellis, Responsabile scientifico dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Da parte, quindi, la sensoristica, l’Internet of Things, i dati che possono essere estratti dai social network come Facebook e che servono, principalmente, a mettere in piedi analisi predittive e - quindi - a capire il comportamento dei consumatori. La parola d’ordine è semplificare, soprattutto per le PMI. Già, perchè una delle problematiche più frequenti, per i piccoli imprenditori, è proprio quella di stimare l’effettiva utilità dei Big Data. Quali benefici è davvero in grado di portare questa rivoluzione? Quali sono i costi? Mi servirà davvero?

Il gap, naturalmente, è spesso di tipo culturale. Il 95% del nostro tessuto imprenditoriale è costituito da aziende famigliari, circoscritte all’interno di mura che si tramandano di generazione in generazione e che attendono un cambio generazionale, forse, ancora piuttosto distante. «Per questo c’è bisogno di trading e di formazione continua. Non bisogna mai stancarsi di educare le imprese che, tuttavia, devono dimostrare di volersi aprire a infiltrazioni esterne», afferma ancora Vercellis. L’ingranaggio sulla formazione, però, è più complesso di quello che sembra. Gli incentivi (per il 2018 il Governo ha previsto un credito d’imposta sulla formazione) non bastano. Benché i datori di lavoro siano consapevoli che la mancanza di figure competenti immobilizza la digital trasformation, dall’altra i dipendenti affermano che i budget per la formazione digitale sono rimasti invariati o hanno addirittura subito un calo in oltre la metà (52%) delle aziende (fonte Capgemini). Inoltre, per il 45% dei dipendenti i programmi di formazione messi in atto dalle aziende sono ‘inutili e noiosi’ e spesso non viene concesso il tempo necessario per potervi partecipare.

Tornando ai Big Data, ci chiediamo, però, quali sono i primi passi da compiere per aprirsi all’analisi dei dati, soprattutto per le PMI che hanno a che fare con il mercato consumer. «Sicuramente affidarsi a collaborazioni esterne per analizzare i dati che si hanno già a disposizione all’interno dell’azienda - dice Vercellis -. Mettiamo, per il momento, da parte l’acquisizione di dati esterni (sensoristica, social, ndr.). Il 90% dei dati è già nelle mani dell'imprenditore. Questi dati hanno un grande potenziale, possono essere valorizzati. Ovviamente si tratta di usarli nel modo giusto. Non credo che sia il caso di assumente nuovo personale per fare questo, ma affidarsi ad aziende esterne sicuramente è il primo passo vero l'evoluzione digitale».

Importanti, poi, le campagne di marketing per fidelizzare i clienti, per suggerire loro altri prodotti o servizi offerti dall’azienda dopo il loro primo acquisto. Ottimizzare la qualità dei processi nell’erogazione dei servizi, servirsi dell’intelligenza artificiale e del machine learning per una previsione della domande e dello scontrinato. E campagne per migliorare l’engagement con il cliente per l’incremento delle vendite. Se un tempo c’era la cartellonista appesa alle fermate dell’autobus, oggi la pubblicità passa per le analisi predittive dei dati che l’azienda è stata capace di generare in un determinato periodo.

«Costi stellari? Assolutamente no - ammette Vercellis -. Oggi le tecnologie cloud che abbiamo a disposizione, ad esempio, possono già da sole annullare buona parte dell’investimento in hardware e software. Non sono i costi l’ostacolo più grande dei Big Data, ma la consapevolezza culturale, la preparazione organizzativa, che deve essere in grado di modificare i processi esistiti fino a oggi. E’ una questione di management. Non di soldi».