19 aprile 2024
Aggiornato 06:00
premio nazionale innovazione

OCORE vince il Premio Nazionale dell'Innovazione (e tanto altro)

Ocore è una startup in ambito Industria 4.0. Rivoluziona la manifattura attraverso la stampa 3D e la robotica

NAPOLI - Anche quest’anno il Premio Nazionale dell’Innovazione ha il suo vincitore. E’ OCORE, startup palermitana che vuole rivoluzionare l’industria manifatturiera utilizzando la stampa 3D e la tecnologia robotica. Una rivoluzione che parte dal Mezzogiorno e che si inserisce in uno di quei settori su cui l’Italia, negli ultimi anni, sta puntando molto: l’industria. La stampa 3D, a oggi, rappresenta una delle tecnologie più dirompenti e in grado di stravolgere i tradizionali paradigmi produttivi. Una vera e propria rivoluzione, visto che la produzione non avviene più per asportazione di materiale dal pieno, ma attraverso quella che i tecnici chiamano manifattura additiva, dove il processo di produzione additiva ha come input la realizzazione del modello 3D dell’oggetto (progettazione CAD), a cui segue un processo semi-automatico (svolto oramai da tutti i più diffusi software di progettazione) di conversione del file in formato STL, che prevede la scomposizione dell’oggetto in strati (layer) stampabili dalle stampanti 3D.

«Nessuna stampante 3D è capace di fare ciò che facciamo noi - ci raccontano i fondatori Daniele Cevola e Francesco Belvisi -. La nostra tecnologia permette di stampare materiali che, benché di grandi dimensioni, risultano più leggeri e, allo stesso tempo, molto più resistenti. Possiamo realizzare un unico oggetto senza dover unire in un secondo momento le varie parti, variando la densità dei vari elementi in base alle loro funzioni e alla loro collocazione finale. Le strutture sono quindi più performanti e i costi di produzione decisamente ridotti».

Osservando la natura Daniele Cevola, Francesco Belvisi e Mariga Perlongo hanno sviluppato e brevettato una nuova strategia di deposizione del materiale che sfruttando un algoritmo ispirato ai frattali e utilizzando polimeri avanzati rinforzati con fibre di carbonio permette di realizzare strutture ad altissime prestazioni, più forti, più durevoli e allo stesso tempo più leggere. Da tavole da surf a strutture di grandi yacht interamente costruite attraverso il primo robot di stampa 3D ad alte prestazioni, senza modelli e stampi, superando i problemi della stampa 3D tradizionale

Il mercato è quello delle plastiche rinforzate con fibre di carbonio (CRP) e vetro (GRP) ad alte prestazioni. E dell’Industria 4.0, più in generale. Perchè non dimentichiamoci che, malgrado il nostro resti un potenziale inespresso, l’Italia è il secondo paese in Europa per manifattura. A crederci è stato soprattutto il Governo che, con il Piano Industria 4.0 (ora Impresa 4.0), ha fatto schizzare il mercato a 1,7 miliardi di euro, con un aumento del 25% rispetto allo scorso anno, con uno stanziamento di fondi non indifferente. Per un piano (Industria 4.0) partito lo scorso anno con uno stanziamento di 13 miliardi di euro, a oggi se ne aggiungerebbero altri 10, secondo quanto recentemente dichiarato dal ministro Calenda. Gruzzolo che dovrebbe andare a ingrassare gli incentivi previsti, contribuendo a rafforzare la nostra posizione in Europa quanto a fisco pro innovazione e trasformazione digitale. I ragazzi di OCORE si sono focalizzati sul mercato della nautica e oggi stanno lavorando alla costruzione della prima barca a vela che nel 2019 parteciperà a una regata transoceanica, la Mini Transat.

Anche quest’anno il Premio Nazionale dell’Innovazione ha i suoi vincitori che esultano felici sul palco dell’aula magna dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Sono tanti (ve li abbiamo elencati qui) e, anche chi non ha ricevuto un premio, può dirsi soddisfatto di aver partecipato alla competition organizzata da PNICube, l’Associazione italiana degli Incubatori Universitari. Una competizione che ha visto la partecipazione di 66 progetti d’impresa accademici provenienti da tutta Italia, senza distinzioni, da Nord a Sud. Segno che il nostro Paese, frastagliato per antonomasia, si sta - seppur lentamente - uniformando sotto il segno dell’innovazione, della scienza e della ricerca universitaria. Pensiero condiviso ampiamente anche dal presidente di PNICube Giovanni Perrone che guarda con fiducia alla prossima edizione 2018 che si svolgerà a Verona.

Ma non è solo la qualità dei progetti partecipanti al PNI a decretare il successo di questo format. Oltre i progetti - di estrema utilità rispetto all’inutilità (ahimè) di molte startup che abbiamo nel nostro territorio - a vincere è il rapporto che viene a instaurarsi tra startup (e loro founders) e addetti al settore. Un evento che mette in stretta relazione chi può dare con chi ha bisogno di ricevere, caratteristica di cui molti eventi oggi in Italia sono carenti. In un pullulare di competition dispersive dove le possibilità per le startup di interagire con i soggetti che possono contribuire davvero allo sviluppo del loro progetto, il PNI dimostra da anni di essere una competition di valore, di qualità, dove gli interessi delle parti vengono soddisfatti in modo equo e concreto. Senza dimenticare che, in buona parte dei casi, le startup che partecipano al PNI hanno come obiettivo quello di salvare la vita delle persone. Vision che non ha bisogno di ulteriori commenti.

Del resto Università e incubatori universitari, svolgono un ruolo fondamentale in quella che è l’Open Innovation, soprattutto delle grandi Corporate. «E’ necessario stabilire una strategia di medio/lungo termine - ha detto Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence e CEO di PoliHub in una recente intervista -. In questo percorso, a fianco delle imprese, giocano un ruolo rilevante le Università. Opportunamente stimolate dalla tradizionale attivazione di progetti d’innovazione e ricerca applicata, commissionati dalle aziende sulla base di potenziali opportunità concrete di business, oggi con più attenzione rispetto al passato, possono generare startup e spin-off. Questo genere di iniziative risulta spesso in grado di favorire processi di innovazione discontinua per le imprese, potendo far leva sui percorsi di trasferimento tecnologico (e della connessa proprietà intellettuale) messi a punto dagli Atenei a partire dalla ricerca di base. In quest’ambito, gli incubatori universitari costituiscono un importante ambiente appositamente realizzato per ospitare la fase iniziale del ciclo di vita di queste iniziative di business congiunte fra imprese e Università».