28 marzo 2024
Aggiornato 10:30
startup

Perché finanziare o no una startup con le ICO (che non è equity crowdfunding)

Due punti di vista a confronto per capire se conviene investire attraverso le ICO oppure no e, soprattutto, per fare chiarezza

Perché finanziare o no una startup con le ICO (che non è equity crowdfunding)
Perché finanziare o no una startup con le ICO (che non è equity crowdfunding) Foto: Shutterstock

MILANO - Claudio Perlini è uno dei primi ‘startupper’ italiani ad aver finanziato la sua startup con le ICO (Initial Coin Offering), strumento su cui si stanno dibattendo già molti governi globali, tra chi le ha vietate (come Cina e USA) e chi, invece, sta ancora cercando di capirci qualcosa. Dall’altro capo del telefono la sua voce va un po’ a singhiozzi. «Qui a New York sono le sette di mattina», mi racconta. Malgrado la connessione WhatsApp vada - a tratti - al rallentatore, cominciamo a parlare della sua startup, Boulé, un sistema di voto basato sulla tecnologia blockchain che Claudio ha deciso di finanziare attraverso le ICO.

Claudio, attraverso la piattaforma Etherum ha creato il suo token, ovvero il suo gettone digitale, battezzato Bou. Un token, per essere precisi, può essere venduto sia attraverso la piattaforma di Etherum (o altra criptovaluta) che direttamente sul sito della startup che ha deciso di finanziarsi attraverso un ICO. Nel caso di Bou, lo stesso può essere acquistato in cambio di Etherum direttamente sul sito di Boulè, a partire dal 25 ottobre. Durante la fase di raccolta Claudio, in cambio del suo gettone digitale (Bou) accettava ether (la criptovaluta di Etherum), con un cambio di 1 per 1000 Bou. Attraverso questo sistema, quindi, chi detiene una criptovaluta (bitcoin, ether, ecc.) può decidere di investirla in un'applicazione decentralizzata acquistando la valuta creata dalla stessa startup. Ok. Ma quali sono i vantaggi?: «Rispetto ad altri strumenti come l’equity crowdfunding dove l’investitore detiene una quota della società, ad esempio, in questo caso hai un valore che è liquidabile in qualsiasi momento. Ma non solo». Attraverso la fase di pre-ICO, della durata di pochi mesi, Claudio ha ottenuto un valore pari a 150mila euro (in ether), con un investimento molto basso di circa 5mila dollari. «In questo momento sto vivendo di criptovalute e sto finanziando la mia startup grazie ad esse».

Per Claudio, per la prima volta, in Italia, stiamo assistendo a un fenomeno che permetterebbe alle startup di finanziarsi meglio e più velocemente rispetto ad altri Paesi, come ad esempio gli USA, dove sappiamo avere un maggiore e più facile accesso al capitale, e dove al momento le ICO sono, tuttavia, in parte vietate. Di fatto, secondo una recente ricerca riportata da Forex Live e condotta dal Dipartimento Finance Magnates Intelligence, quasi un terzo degli investitori retail nel mercato valutario ha investito o intende puntare sulle ICO.

L’accostamento delle ICO al crowdfunding, in particolare all’equity crowdfunding, sorgerebbe quasi spontaneo. Le logiche, di primo impatto, sembrerebbero le medesime, ma così non è. «Il funzionamento dei token - mi spiega Matteo Masserdotti, AD della piattaforma di equity crowdfunding Tip Ventures - è molto più simile a quello del reward-based crowdfunding, dove l'investitore è incentivato all'acquisto perché si presuppone che riceverà un premio (in questo caso il token) che potrà utilizzare all'interno del servizio offerto dall'applicazione stessa. La grande differenza, ed il motivo per cui spesso vediamo ICO milionarie, è che questi token possono successivamente essere scambiati sui crypto exchange, quindi potenzialmente venduti (a seconda della domanda e dell'offerta) a prezzi anche molto più alti di quelli ai quali si sono acquistati durante le ICO. Trattandosi di un bene limitato (durante le ICO sono emessi un certo numero di token, spesso il 100% della totalità di token che possono essere emessi e dichiarati negli smart contract), se la ICO è andata molto bene, uno speculatore potrebbe rivendere velocemente i suoi token ad altri che non sono riusciti a partecipare alla sottoscrizione».

Detto questo, a dimostrazione del tema controverso e dell’appeal fortemente speculativo creatosi attorno alle criptovalute, quasi la metà degli investitori presi come punto di riferimento nell’indagine del Dipartimento Finance Magnate Intelligence non avrebbe fiducia nelle ICO. Ciò, in buona parte, dipende anche dal fatto che alcuni governi (tra quelli che, peraltro, detengono tra i poteri maggiori a livello globale) - USA, Corea del Sud e Cina - hanno deciso di vietare le ICO. L’attività, infatti, è completamente deregolamentata e il suo funzionamento spesso incompreso dal policy maker. Gli interventi dei Paesi che hanno vietato le ICO, però, vanno differenziati. «Nel caso degli USA, la SEC (la controparte americana della Consob), ha vietato alcune specifiche ICO, dove nei token, oltre al semplice utilizzo dell'applicazione, vengono collegati diritti patrimoniali ed amministrativi, equiparandole alla vendita di strumenti finanziari e quindi ad attività riservata - mi spiega meglio Matteo -. Inoltre la SEC ha avvertito sulla possibilità che si creino, grazie alle ICO, dei "dump and pump" dei prezzi delle azioni o quote delle società che emettono i token, ovvero uno "gonfiamento e sgonfiamento" del valore delle stesse in funzione dell'esito della ICO. Quindi negli Stati Uniti è possibile effettuare una ICO, con limitazioni e responsabilità personale (e penale) dei soggetti promotori, sempre e quando il sottostante del token non sia assimilabile a uno strumento finanziario. Il caso della Cina è ben diverso. Più volte infatti oltre ad avere bloccato le ICO, il governo cinese ha chiuso e vietato gli exchange di crypto valute. Il vero problema infatti, molto noto e indicato dalla community Bitcoin come uno maggiori fattori di rischio per la sopravvivenza delle crypto valute, è proprio nella regolamentazione (o nella decentralizzazione) degli exchange che permettono il libero scambio dei token e delle criptovalute senza attuare (nella maggior dei casi) nessun controllo sulle società che li emettono».

La legge è quindi l’unica soluzione? «E’ sicuramente più logico (e auspicabile) pensare che la risoluzione del problema avverrà grazie ad una regolamentazione delle ICO e degli exchange, consentendo solo quelle create attraverso piattaforme e società autorizzate dai rispettivi organi di vigilanza», conclude Matteo. Del resto, in questo momento, dove la confusione sembra incalzante, l’obiettivo è quello di fare chiarezza e, soprattutto, tutelare gli investitori che decidono di investire attraverso le ICO. Su questo anche Claudio è stato attento: sul suo sito una scritta a caratteri cubitali, anche un po’ contro se stesso, del resto: «Non comprate Bou se non siete esperti di criptovalute e blockchain». Ora, però, la palla deve passare al policy maker