20 aprile 2024
Aggiornato 01:30
Esteri

Volano minacce tra Usa e Iran: «Sarebbe la madre di tutte le guerre»

Uno scambio di dichiarazioni e risposte molto dure tra i presidenti Trump e Rohani ha fatto salire la tensione tra la Casa Bianca e la repubblica islamica

TEHERAN – Escalation di tensione tra Stati Uniti e Iran. A lanciare il primo monito, a poche ore dall'atteso discorso del segretario di stato americano sulla repubblica islamica, è stato il presidente Hassan Rohani, ammonendo che gli Usa non devono «giocare con la coda del leone» e un conflitto con l'Iran sarebbe «la madre di tutte le guerre». «Voi dichiarate guerra e in seguito parlate della volontà di sostenere il popolo iraniano – ha dichiarato Rohani rivolgendosi al suo omologo americano Donald Trump durante una riunione di diplomatici iraniani a Teheran – Non potete provocare il popolo contro la sua sicurezza e i suoi interessi», ha dichiarato durante questo discorso trasmesso in tv. Rohani ha di nuovo avvertito che l'Iran potrebbe chiudere il distretto strategico di Ormuz, che controlla il Golfo e attraverso cui passa circa il 30 per cento del petrolio mondiale che transita via mare. «Siamo i garanti della sicurezza di questo stretto da sempre, non giocate con la coda del leone, ve ne pentirete – ha sottolineato – La pace con l'Iran sarebbe la madre della pace e la guerra con l'Iran sarebbe la madre delle guerre».

Casa bianca verso il conflitto?
Rohani si è espresso qualche ora prima dell'atteso discorso del segretario di stato americano, Mike Pompeo, mentre gli Stati Uniti cercano di aumentare la pressione sulla repubblica islamica dopo essersi ritirati dallo storico accordo del 2015 sul nucleare iraniano. Nel suo intervento di sostegno alle manifestazioni in Iran, Pompeo ha ribadito che gli Stati Uniti «non hanno paura» di sanzionare «al più alto livello» il regime di Teheran, accusato di essere «un incubo per il popolo iraniano». L'8 maggio, il presidente Donald Trump, che ha fatto della Repubblica Islamica il suo nemico giurato, ha deciso di recedere dall'accordo raggiunto per impedire all'Iran di dotarsi della bomba atomica e di ristabilire tutte le sanzioni revocate nel quadro di questa intesa, giudicata troppo leggera. Pompeo ha successivamente svelato, il 21 maggio, la «nuova strategia» che mira a costringere l'Iran a piegarsi a dodici requisiti draconiani, sotto la minaccia delle sanzioni «più forti della storia». Nel terzo atto, il capo della diplomazia statunitense ha pronunciato ieri di fronte alla diaspora iraniana, alla biblioteca presidenziale Ronald Reagan di Simi Valley, un discorso intitolato «Supportare le voci dell'Iran». Mentre gli alleati europei degli Stati Uniti tentano con ogni mezzo di salvare l'accordo sul nucleare iraniano, il segretario di Stato ha rivolto un appello alla Comunità internazionale a «smettere di flirtare con un regime rivoluzionario», accusato di «corruzione», «terrorismo», violazioni di diritti umani e persecuzioni religiose. Ha confermato che Washington vuole che tutti i Paesi riducano le loro importazioni di petrolio iraniano «il più possibile vicino allo zero» entro la scadenza del 4 novembre, altrimenti si esporranno alle sanzioni americane. «Non è finita», ha avvertito in merito alle sanzioni americane, dopo aver ricordato che gli Stati Uniti avevano già preso di mira a gennaio l'ayatollah Sadegh Larijani, capo dell'Autorità giudiziaria, per violazioni dei diritti umani. «I dirigenti del regime, in particolare quelli a capo dei Guardiani della Rivoluzione», l'esercito di elite iraniano, «e della Forza Quds», incaricata delle operazioni all'estero, «devono pagare caro per le loro cattive decisioni», ha osservato. Mentre l'amministrazione Trump è regolarmente sospettata di alimentare la speranza di un cambio di regime in Iran, Pompeo ha ribadito di voler unicamente «che il regime cambi in modo significativo il suo comportamento, sia all'interno dell'Iran sia sullo scenario mondiale». Alla fine «spetterà al popolo iraniano scegliere i suoi dirigenti», ma sotto «la presidenza Trump, gli Stati Uniti non resteranno in silenzio», ha chiarito, accompagnato dagli applausi dei rappresentanti della diaspora, malgrado l'interruzione di una manifestante rapidamente bloccata. «Gli Stati Uniti vi ascoltano, gli Stati Uniti vi sostengono, gli Stati Uniti sono al vostro fianco», ha aggiunto rivolgendosi ai manifestanti, che secondo lui stanno scendendo in piazza come mai accaduto dalla rivoluzione islamica del 1979. In concreto, ha annunciato il lancio di un network multimediale (televisione, radio, social network) 24 ore su 24 in lingua farsi, «in modo che gli iraniani comuni in Iran e in tutto il Paese sappiano che l'America è al loro fianco». L'idea dell'amministrazione Trump è semplice: cercare di approfittare delle tensioni sociali che sembrano moltiplicarsi in Iran, sullo sfondo delle difficoltà economiche aggravate dall'annuncio del ritorno delle sanzioni americane che fanno scappare numerose aziende straniere.

Guerra di parole
E al presidente iraniano Rohani ha risposto anche il suo omologo Trump in persona, con un tweet molto duro: «Non minacci mai più gli Stati Uniti o soffrirete conseguenze che pochi nella storia hanno sofferto prima. Non siamo più un Paese che sopporterà le vostre folli dichiarazioni di violenza e morte. State attenti». Al capo della Casa Bianca ha poi replicato a sua volta il generale iraniano Gholam Hossein Gheypour: l'agenzia semi-ufficiale Isna ha riportato che le minacce di Donald Trump nei confronti dell'Iran sono da considerare atti di «guerra psicologica», perché «non è in grado di agire contro l'Iran».