20 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Elezioni Russia

Putin IV entra nella leggenda russa: l’ex teppista di Leningrado fa la storia

Plebiscito, con buona affluenza alle urne, per il Presidente in carica. La Russia vuole prosperità, pace e dignità: e lo dice con forza

Vladimir Putin in piazza a Mosca dopo il trionfo elettorale
Vladimir Putin in piazza a Mosca dopo il trionfo elettorale Foto: ANSA

MOSCA - Lo capì perfettamente Machiavelli, cinquecento anni prima di Vladimir Putin, che nel suo esilio fiorentino fatto di partite a «tricche-tracche» con il suo macellaio, generalizzava le esperienze delle rivoluzioni democratiche: «Colui che vuole fare ove vi sono assai gentiluomini una repubblica, non la può fare se prima non li spegne tutti». Vladimir Putin, ex colonnello del Kgb, ex teppista della periferia di Leningrado, ha capito che se voleva portare a termine la sua rivoluzione democratica in Russia doveva stravincere le elezioni per il suo quarto mandato presidenziale. Doveva spegnere tutti i suoi rivali, in casa come all’estero. E così ha fatto. Chi ha camminato per le vie delle città russe, come chi ha attraversato le sterminate pianure di questo paese che si estende su undici fusi orari, sa che in ogni luogo, in ogni dove, è presente una statua che celebra il culto di Lenin. La metropolitana di Mosca, come quella di San Pietroburgo, come l’ultima stazioncina della Siberia sono un museo che inneggia al sovietismo. Pochi ricordano il perché di quella simbologia, essendo quel tempo ormai lontano e ignorato. Nessuno ha mai avuto il coraggio di toccare quei simboli: il crollo dell’Unione Sovietica. Putin lo farà. Quando tra qualche anno il presidente russo sarà morto, il suo culto sostituirà quello del fondatore del bolscevismo. I busti e le statue di Lenin verranno finalmente riposti in un museo, e il loro posto verrà preso da quelle di chi ha stravinto con il 75% le elezioni presidenziali. Putin non è più un uomo politico, Putin in Russia è un mito fondativo. Come Ivan IV, ben più di Alessandro III o Lenin. Indubbiamente può non piacere questo in occidente, abituati come siamo a non credere più in nulla e alla deriva cinica, ma così è. Putin è entrato nella leggenda, da vivo. Putin in Russia è tutto. Possiamo riderne, possiamo indignarci, possiamo avere qualsiasi reazione negativa a questo processo: ma questo acuirà solo la distanza nostra da quel mondo, in nome di un complesso di superiorità tanto più dannoso che inutile.

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Il concetto del ritardo
L’ultimo servo della gleba fu venduto nel 1861. Quello del ritardo è un concetto complicato, necessariamente contraddittorio. E la Russia è un paese in ritardo, per mille ragioni che sono fin troppo evidenti. La parabola del sovietismo che ha avuto il suo apice nell’anarchia criminale della coppia Gorbaciov-Eltsin hanno scaraventato la Russia nell’arretratezza che, per molti aspetti, è un tratto della sua essenza. Un paese in ritardo non segue le orme dei paesi avanzati, mantenendo le distanze. Nell’epoca dell’economia globale, i paesi in ritardo saltano le fasi intermedie. Lo sviluppo assume forme contraddittorie e instabili. In questo contesto si deve leggere il plebiscito che ha caratterizzato le elezioni presidenziali russe. Un salto, un balzo enorme e nel futuro: la Russia non ha tempo se vuole uscire dall’arretratezza. Così, attraverso un processo democratico, ha deciso di eleggere un monarca in grado di far recuperare terreno a un paese in ritardo. I russi si fidano di Putin, e noi non possiamo irridere o insultare un popolo in nome del nostro nichilismo. Se l’occidente non crede più in nulla – religioni, ideologie, culture – non ha diritto di deridere chi lo fa. Certamente l’esito, le dimensioni del trionfo di Putin, sono sconcertanti per i nostri parametri. Ma i russi hanno deciso che non possono permettersi governi conflittuali, presidenti ambigui, indecisioni politiche che diventano lussi. I russi non possono permettersi di avere tra i propri rappresentanti cialtroni come Navalny, il blogger anti-corruzione corrotto, che a urne appena chiuse strepitava sui media occidentali di «brogli», dopo aver strepitato per settimane e mesi, in piena libertà, «il boicottaggio elettorale». Questi utili idioti senza arte né parte che l’occidente foraggia non hanno avuto alcun seguito in Russia, e Navalny verrà buttato via come un fazzoletto sporco, esattamente come accadde con Kasparov. I russi hanno deciso di eleggere Putin con un plebiscito: lo hanno fatto convintamente, recandosi alle urne in buona misura: oltre il 63%. Meno di quanto si aspettasse il Cremlino, ma in misura sufficiente per zittire ogni critica proveniente da un occidente rancoroso.

I motivi di una vittoria schiacciante
La spinta finale a Putin è arrivata dalla storia ridicola di Londra: con il povero Boris Johnson, ministro, che si riduceva a sostenere che l’omicidio di una vecchia spia sovietica oggi pensionata era stata ordinata direttamente da Putin. Provocando irrefrenabile ilarità in Russia, nonché l’ultima ondata di voti per il presidente. Certo, i media occidentali continuano a sognare che Putin abbia vinto perché ha fondato la sua campagna elettorale su un forte nazionalismo militarista. Ma la realtà non è così: chiunque abbia seguito la campagna elettorale sa che gli «attacchi» all’occidente si sono limitati sempre a poche battute, e tutte di carattere difensivo. Putin ha stravinto per ciò che ha promesso sul piano economico sociale, Putin ha stravinto perché i russi ricordano le loro condizioni di vita nel 1999, anno in cui fu eletto per la prima volta. Putin ha stravinto, per altro da solo e senza il supporto del suo partito Russia Unita, perché ha detto ai suoi concittadini che lavorerà per un paese prospero e dignitoso. L’occidente, che un po’ boicotta e un po’ commercia con la Russia, comprenderà forse che l’orso russo è mansueto e l’unica cosa che vuole fare sono gli affari? No, non lo comprenderà. Comprenderà che la Russia di Putin è interessata solo a quello che accade all’interno dei suoi confini, e tutto ha tranne che mire espansionistiche? No, non lo comprenderà. Continuerà a circondare una potenza atomica di eserciti armati fino ai denti, a fomentare guerre civili nei paesi ove vivono gigantesche comunità russe, e in definitiva a tentare di defenestrare Putin dal Cremlino, nella speranza che possa tornare un Gorbarciov qualsiasi.

E per il post Putin?
Ma cosa accadrà al termine del quarto mandato presidenziale di Vladimir Putin? Cambierà la Costituzione, forte del plebiscito e del reale consenso che ha nel paese, affinché possa ricandidarsi per la quinta volta? La Russia è un paese multinazionale, ben più degli Stati Uniti o della Cina. Un paese che da secoli è attraversato da spinte centrifughe che ne minano la tenuta fisica. Non è un caso che Vladimir Putin sostenga che se potesse tornare indietro eviterebbe il collasso dell’Urss: non per nostalgie ideologiche, bensì perché è consapevole che quel crollo ha mutilato la Russia di territori importanti, e ha portato l’intero territorio sull’orlo della dissoluzione anarchica. Ora la domanda è semplice: ci sarà un uomo, o una donna, in grado di mantenere dritta la barra della stabilità politica? Medvedev sarà in grado di prendere il posto di chi ha preso il posto di Putin nell’immaginario dei russi e non solo? Medvedev è un pupazzo, ovviamente, e non ha minimamente lo spessore del suo padrino politico. Gli altri, quelli che hanno concorso alle elezioni, sono delle nullità. La fine dell’era Putin apre le porte a scenari inquietanti, dove si ripropone l’anarchia russa come pulsione alla risoluzione dei grandi passaggi di potere. Una nuova congiura di Boiardi si sta già aprendo, in Russia come nelle cancellerie occidentali.