24 aprile 2024
Aggiornato 16:30
L'esecutivo di Serraj ancora privo della fiducia del Parlamento

Pasticcio Libia, Sarraj (ancora) in bilico è l’ennesima scommessa persa dall’Occidente

Il Parlamento di Tobruk (unico portatore di rappresentanza popolare) ha negato la fiducia al governo benedetto dall'Onu di Serraj: segno che l'Occidente ha perso la sua scommessa

TRIPOLI - L'ottimismo è durato decisamente poco. Sono passati solo pochi giorni da quando i media di tutto il mondo hanno celebrato la riconquista, quasi ultimata, della città di Sirte – roccaforte dello Stato islamico –, e già una brutta notizia giunge a disilluderci in merito al destino della polveriera libica. Una polveriera dove la presenza di Daesh, ormai decisamente ridimensionata, è soltanto uno dei tanti fattori destabilizzanti che attanagliano il Paese. Lo dimostra la decisione del Parlamento libico di Tobruk – il solo legittimato da un voto popolare –, che ha bocciato la fiducia al Governo di Unità Nazionale di Faiez al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale. Un governo fortemente voluto dalle Nazioni Unite, ma che – è sempre più chiaro – non gode del medesimo sostegno in patria. Un risultato decisamente eloquente: su 101 membri presenti in Aula, 61 si sono espressi contro la fiducia al governo.

La fiducia che non c’è
Un risultato tutto sommato prevedibile, se si considera lo stesso «compromesso» su cui è nato l’esecutivo di Serraj. Che, originariamente, avrebbe dovuto ricevere il sostegno unanime della Camera, ma che, alla fine, vista l’irraggiungibilità dell’obiettivo, è stato legittimato dalle firme di poco più della metà dei deputati. Un compromesso al ribasso, insomma, che già da subito era la spia di uno scarso consenso e di una sostanziale instabilità. Così, ad otto mesi di distanza, la situazione non è cambiata: il governo non ha incassato la fiducia del Parlamento nemmeno questa volta. Ad opporsi, sono stati i deputati fedeli al presidente del Parlamento Aguila Saleh, al generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, e all’entità governativa libica orientale di al Bayda, piccola città a metà strada fra Tobruk e Bengasi.

Il fallimento della scommessa occidentale
Il quotidiano Libya Herald ha spiegato che, in realtà, negli scorsi otto mesi il Parlamento libico ha tenacemente evitato di esprimersi sul governo di Serraj, perché il suo presidente Saleh temeva che quest’ultimo riuscisse la fiducia. Scenario che evidentemente non si è realizzato, motivo per cui il Consiglio presidenziale libico (organo che ha nominato l’esecutivo) dovrà presentare una nuova lista, ridotta, di ministri. Un vero pasticcio anche a livello internazionale, visto che l’attuale situazione testimonia impietosamente il fallimento de facto del tentativo, guidato dalle Nazioni Unite, di ridare stabilità e unità al Paese. Un tentativo che è stato, più che altro, un'audace «scommessa» totalmente priva di garanzie, visto che la mossa occidentale di puntare subito su Serraj – nonostante la prevedibile incapacità di quest’ultimo di garantirsi pieno sostegno in patria – ha prodotto ad oggi, come unico risultato, una rinnovata instabilità politica per il Paese.

Nuove ombre sulla legittimità delle bombe Usa
Al Serraj ha dunque ora una bella gatta da pelare, soprattutto per le implicazioni che il voto della Camera porta con sé. Non da ultimo, la mancata fiducia toglie legittimità anche alle decisioni prese dall’esecutivo, dato che l’accordo politico libico siglato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite concede al Parlamento il diritto di approvare o disapprovare lo stesso esecutivo. E alla luce degli ultimi eventi che lo mettono in bilico, gli stessi raid americani acquisiscono un profilo di incerta legittimità, visto che sono stati richiesti dal governo di Serraj, che però non ha la fiducia del Parlamento – l’unico vero organo ad esprimere una rappresentanza popolare –. In effetti, l’intervento di Washington ha finito per accentuare ulteriormente le divisioni, poiché non è stato per nulla apprezzato dall’Est del Paese, di cui il generale Haftar, sostenuto dall’Egitto di Al Sisi, è rappresentante.

Una pace lontana
Il fatto che la legalità incerta dell’esecutivo venga a tal punto sottolineata proprio nel momento in cui all’orizzonte si profila la vittoria contro lo Stato islamico è la beffarda e amara dimostrazione di quanto, in Libia, la pace sia ancora lontana. Del resto, la stessa battaglia di Sirte, che pure ha avuto come risultato – grazie al supporto aereo americano – la quasi totale eliminazione dei jihadisti dell’Isis, porta con sé, per certi versi, il marchio del fallimento. Perché il cosiddetto «esercito» fedele al Governo di Unità Nazionale è, in realtà, composto dagli uomini delle brigate di Misurata, milizie composte da ex ribelli che combattevano contro Gheddafi. Ed è dunque originariamente espressione, a sua volta, di una fazione, testimone paradossale dello stato di assoluta frammentazione in cui versa il gigante nordafricano.

Il prezzo della sconfitta dell’Isis
Così, la Libia si ritrova ancora oggi, a otto mesi dalla nascita del governo di Serraj, immersa in una polveriera di caos instabilità: fazioni e milizie che si contendono il potere; gli ultimi scampoli di uno Stato islamico che ormai, fortunatamente, batte in ritirata; un’irrisolta tensione tra Tripolitania e Cirenaica, Est e Ovest del Paese. Ancora più divisi oggi dall’intervento americano, che, se pare essere stato determinante per colpire i terroristi di Daesh, rischia però di scomporre ancora più in profondità il già complesso mosaico libico.