20 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Pensioni

L'Europa blocca i ricorsi dei pensionati italiani

Per la Corte europea dei diritti dell'uomo la 'class action' di oltre 10mila pensionati contro il decreto Poletti «è irricevibile»

Una busta arancione con l'estratto conto contributivo che l'Inps invia ai lavoratori
Una busta arancione con l'estratto conto contributivo che l'Inps invia ai lavoratori Foto: ANSA/ BRAMBATTI ANSA

STRASBURGO - «Irricevibile». Per la Corte europea dei diritti dell'uomo il ricorso di 10.059 pensionati italiani contro il decreto Poletti dell'allora governo Renzi, era il maggio 2015, non ha violato nessun diritto perché «non ha avuto impatti significativi». Al centro la limitazione delle perequazioni delle pensioni per il 2012 e il 2013. Come si legge nel meccanismo che accompagna la sentenza «la misura controversa non sembra avere avuto un impatto significativo per gli anni in questione: per il 2012 l'impatto negativo delle disposizioni criticate, che è nullo per le pensioni inferiori a circa 1.500 euro, sale al 2,7% per le pensioni di oltre 3.000 euro; un risultato simile può essere calcolato sul 2013». Quindi, secondo i giudici di Strasburgo, le misure del governo Renzi «non violano i diritti dei pensionati».

Il caso del decreto Poletti
Il Salva Italia del 2011 bloccò, per i due anni a venire, l'adeguamento automatico all'inflazione delle pensioni con un importo mensile di tre volte superiore al minimo Inps (circa 1.450 euro lordi). La misura, però, fu stoppata dalla Corte costituzionale. Così il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, varò il decreto ch stabiliva una restituzione della rivalutazione, ma solo parziale. L'intera somma è stata infatti prevista solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo Inps; a quelle da 3 a 4 volte è stato concesso il 40%, che scende al 20% per gli assegni superiori di 4-5 volte il minimo, e al 10% per quelli tra 5-6 volte. Escluso dalla restituzione, invece, chi percepisce una pensione superiore a sei volte il minimo Inps.

Il ricorso
Alla base del ricorso la tesi secondo la quale il provvedimento avrebbe prodotto un'ingerenza immediata sulle loro pensioni per il 2012 e 2013 e permanente per effetto del blocco sulle rivalutazioni successive. Inoltre, la misura non avrebbe perseguito l'interesse generale e avrebbe violato il loro diritto alla proprietà. Ma per la Corte di Strasburgo la 'class action' è inammissibile e la riforma del meccanismo di perequazione delle pensioni «è stata introdotta per proteggere l'interesse generale» per «proteggere il livello minimo di prestazioni sociali e garantire allo stesso tempo la tenuta del sistema sociale per le generazioni future» in una fase storica «in cui la situazione economica italiana era particolarmente difficile».