19 marzo 2024
Aggiornato 08:00
Calcio e industria

Cristiano Ronaldo: un investimento per l'intera industria italiana, non solo per la Juventus

Operazione industriale: ormai il calcio non c'entra più nulla. Gli Elkann e Marchionne investono 450 milioni di euro per rilanciare la produzione, non per sport

Cristiano Ronaldo durante il suo arrivo allo J Medical di Torino
Cristiano Ronaldo durante il suo arrivo allo J Medical di Torino Foto: ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO ANSA

TORINO - La portata socio-economica del trasferimento di Cristiano Ronaldo alla Juventus è data dal fatto che questa operazione di mercato ha completamente oscurato gli stessi Mondiali che si sono appena chiusi in Russia. Non a Torino, non in Italia, non in Europa: nel mondo. L'unica cosa che conta oggi, più della Francia che ha vinto i Mondiali nella Russia di Putin, e relative implicazioni geopolitche, più della guerra a colpi di dazi tra Usa e Cina, più della fine del conflitto in Siria, è la storia di un giocatore di 33 anni che ha deciso di vivere la fase finale della sua incredibile parabola calcistica alla Juventus. Ma, probabilmente, qui è l'errore che la Juve ha colto: Cristiano Ronaldo, ormai, ha solo un valore calcistico aleatorio. Il suo valore, in senso greco, ma anche in senso giudaico, non ha più nulla a che fare con il pallone, con i goal, con lo sport. Cristiano Ronaldo è eterno, è un simbolo globale lui stesso. E per molti aspetti è vero l'opposto di quanto si legge: il logo CR7 è stato pagato affinché si comprasse la Juventus, e con la squadra di calcio il campione portoghese diventa «padrone» della Fca. Questo, ovviamente, sarà compito di un adeguato marketing che ovviamente non mancherà. Ne abbiamo scritto in un altro pezzo, mettendo in evidenza l'enorme potenziale industriale dell'operazione.

Etica e lavoro
Elias  Canetti lo definirebbe un "cristallo di massa": gruppi ristretti di uomini - ma Ronaldo è da solo, unico al mondo - rigidamente organizzati e durevoli nel tempo, che possono contribuire alla formazione di masse. E ovviamente la massa a cui è destinato il campione portoghese è quella per eccellenza: la massa del consumo. E' vero che la cifra complessiva dell'operazione è eticamente imbarazzante: 450 milioni di euro. Ma Cristiano Ronaldo non è più un giocatore di calcio: Cristiano Ronaldo è un'industria che dà, già oggi, lavoro a migliaia di operai. Lo fa nel settore tessile prettamente: settore molto complesso, in cui vige la regola della delocalizzazione selvaggia, dell'effetto dumping, dove odiosi fenomeni di sfruttamento del lavoro emergono ciclicamente. Cose che magari lui nemmeno sa: anche se l'uomo ha dimostrato una sensibilità umana non da poco, e non priva di di coraggio, svariate volte. Ma, ovviamente, non è un santo.

Perché genera profitto nell'industria
L'industria Ronaldo sbarca in Italia, e comincia a generare profitto, e impresa, nel settore primario: nel ferro, tra gli ultimi retaggi del Novecento, laddove si costituisce l'ossatura della classe media che ancora non è stata travolta dalla crisi della globalizzazione. Ronaldo farà vendere più auto che si producono in Italia: più Maserati, più Alfa Romeo, più Ferrari. Questa condizione è semplicemente certa. Ronaldo, da solo, creerà lavoro in Italia, in questo sgangherato Paese che da decenni ha deciso di delocalizzare la sua industria, dopo i violenti conflitti degli anni Ottanta. A meno che la Fca non voglia spostare tutto fuori dall'Italia: condizione possibile ma improbabile. Molto dipenderà da fusioni e alleanze prossime venture: ci torneremo. Lo Stato italiano ha sempre sostenuto la Fiat, gli Agnelli, gli azionisti. L'ha fatto al punto tale che vulgata vuole che sia già stata nazionalizzata sette volte. Oggi la Fiat, cioè Marchionne ben più degli Agnelli, investe 450 milioni di euro di tasca sua. Difficile da criticare, da un punto di vista industriale e sociale, questa operazione.

Stato, potere e industria
E' necessario uscire dalla logica del calcio come passatempo per ricchi industriali: logica reale, almeno fino a poco tempo fa. Perché gli emiri si comprano i club inglesi? E così il Paris Saint Germain, il Milan, l'Inter, e altri grandi club? Perché devono sostenere logiche industriali, perché devono aprire rapporti immensi con il settore bancario, perché devono contrattare accordi commerciali con il Wto e con gli Stati. La differenza tra gli emiri, o gli oligarchi come Abramovich e gli Elkann/Marchionne? I primi sono lo Stato, o rappresentati dello Stato, che investono soldi dello Stato per vie traverse. Vale anche per i cinesi ovviamente. Gli Elkann/Marchionne investono capitali privati: generati anche dal duro lavoro che si svolge nelle loro fabbriche dai loro operai, ovviamente. E' davvero difficile criticare questa operazione, che reca in seno la potenzialità del lavoro in Italia. Del lavoro vero. Non dei lavoretti della gig economy: il lavoro fatto con il ferro, il fuoco e l'acciaio. Il lavoro che nasce dalla matita di un ingegnere, passa da una catena di montaggio, e termina in un concessionario. Lavoro Made in Italy.

Ogni gol = migliaia di auto
Ogni gol di questo giovane signore varrà migliaia di auto vendute: ovvero migliaia di posti di lavoro da creare a o da salvare. L'industria dell'auto è ormai questa, quantomeno in Europa. L'Italia ha perduto la sua storia in questo mondo. Marchi storici sono scomparsi, e la stessa Fiat pare avere i giorni contati. Solo pochi giorni fa i quotidiani economici parlavano di fusione tra Hyunday e Fca: ovvero la fine della produzione in Italia. Oggi arriva un calciatore e il mondo impazzisce: serve ora una cinghia di trasmissione adeguata, l'ingegno industriale tra il design italiano, la tecnica, l'innovazione, il marketing, il sindacato, per trasformare il portoghese non in una macchina da soldi o da pallone: in un macchina da lavoro per gli operai della catena, per gli industriali dell'indotto, per la ricerca universitaria. Per l'Italia intera.