20 aprile 2024
Aggiornato 03:00
Crisi economica

Italia a un passo dalla deflazione: l'inesistente ripresa economica è nei numeri

Un modello economico fondato sulla svalutazione del lavoro non può generare benessere. Italia al rallentatore, in attesa del fanatismo liberista finale di Bonino & c.

In Italia l’indice dei prezzi al consumo a febbraio si è attestato allo 0,6% su base annua, in calo rispetto allo 0,9% di gennaio
In Italia l’indice dei prezzi al consumo a febbraio si è attestato allo 0,6% su base annua, in calo rispetto allo 0,9% di gennaio Foto: ANSA/CARLO FERRARO ANSA

ROMA - L’inflazione dell’Eurozona si è attestata nel mese di febbraio all’1,2% annuo, in calo rispetto all’1,3% di gennaio. Il ribasso era atteso dal mercato. Sempre restando in tema di inflazione ma spostandoci all’Italia, l’indice dei prezzi al consumo a febbraio si è attestato allo 0,6% su base annua, in calo rispetto allo 0,9% di gennaio (dato rivisto dal precedente 0,8%). Gli analisti si aspettavano una flessione più contenuta allo 0,7%. Su base mensile l’inflazione in Italia è salita dello 0,1% contro il +0,2% previsto dal mercato. Si tratta della stima preliminare dell’Istat. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, l’assenza di inflazione, che per appena un decimale non deborda nella deflazione dei prezzi (appena +0,1% su base mensile), si deve quasi esclusivamente alle componenti più volatili e in particolare al calo dei prezzi degli alimentari non lavorati (-3,2%, che invertono la tendenza da +0,4% di gennaio), cui si aggiunge il rallentamento della crescita dei prezzi dei beni energetici, soprattutto di quelli regolamentati (+5,2% da +6,4%). Dopo lungo tempo diminuisce anche la la crescita dei prezzi per il cosiddetto «carrello della spesa», l’indicatore che misura la propensione al consumo degli italiani: i prezzi scendono dello 0,2% su base mensile e dello 0,1% su base annua (rispetto al +1,2% di gennaio).

Condizione ormai strutturale
La svalutazione del lavoro, in assenza della leva monetaria, genera questo fenomeno che potrebbe definirsi stagdeflazione. A differenza della stagflazione degli anni Settanta, i prezzi non sono in aumento – al tempo in virtù della crisi petrolifera – bensì decrescenti o stabili. Ovviamente questo è dato dall’assenza dei consumi, generato da aspettative negative dovute alla perdurante crisi economica. E non bastano le rassicurazione governative inerenti la cosiddetta «ripresa», per far cambiare la percezione dei consumatori italiani. Si può insistere finché si vuole, ma un lavoratore che teme di passare da un contratto a tempo indeterminato a un lavoretto non affronterà mai spese importanti. Per la verità, secondo i dati, si stanno tagliando anche le spese quotidiane. Le vicende come quella della Embraco, la fabbrica di Riva di Chieri di cui vi abbiamo raccontato a più ripreseche che delocalizzata in Slovacchia, fino a quando gli operai di laggiù non saranno sostituiti dai robot – esplodono nel sentire comune come ordigni che minano la fiducia degli italiani. Fenomeno noto a qualasiasi sutende di Economia e commercio del primo anno. La cosiddetta trasformazione dell’economia 4.0, ovvero il passaggio dal settore primario ai lavoretti del terziario, porta a queste conseguenze. L’inflazione è come la febbre: nel nostro caso il malato, ovvero l’economia e la società italiana, rischia di morire per ipotermia.

Export non compensa
Tutto questo ovviamente non è frutto del caso, o della sfortuna, o della congiuntura sfavorevole. E dimostra che il record di esportazioni recentemente ottenuto non incide sul livello di benessere sociale collettivo. Nel 2017 le esportazioni italiane sono in crescita, rispetto al 2016, del 7,4% in valore e del 3,1% in volume. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che a crescere sono anche le importazioni con +9% in valore e +2,6% in volume. L'avanzo commerciale raggiunge i 47,5 miliardi (+81 miliardi al netto dell'energia). L'espansione dell'export è da ascrivere a entrambe le aree di sbocco: +8,2% per i paesi extra Ue e +6,7% per i paesi Ue. Le esportazioni aumentano, l’inflazione decresce o ristagna: non esiste rappresentazione migliore della progressiva svalutazione del lavoro in Italia. La differenza tra noi e la Germania è tutta qui: a Berlino, nonostante l’enorme mole di lavoretti – record assoluto in Europa – le politiche pubbliche incentivano i consumi interni. In Italia, a causa della lotta – persa in partenza – al debito, le economie cosiddette anticicliche mancano da quasi dieci anni. Si dirà: la Germania non ha debito, facciamo come lei. Impossibile, perché in un paese a moneta unica tali politiche a "somma zero" sono impossibili.

Fenomeno voluto
Ma come si diceva nelle prime righe di questo paragrafo, tutto questo non è un caso: la progressiva cinesizzazione dell’Italia – è il cardine della globalizzazione, ovvero non già l’esportazione del benessere bensì l’importazione di povertà – del sud Europa, è un disegno preciso da cui si potrebbe uscire solo affrontando di petto il problema della moneta unica e dei parametri di bilancio comunitari. Sogni. In tal senso programmi economici estremisti come quelli di Emma Bonino, o del Partito Democratico/M5s, inerenti al taglio radicale del debito pubblico, sono attentati all’integrità dello Stato. Sostenere i consumi, sostenere il lavoro, e quindi vedere finalmente un minimo di inflazione: è possibile solo con politiche di deficit spending. Ma tutto ciò è vietato tassativamente dai trattati europei che vedono proprio nell’inflazione il nemico principale da combattere.